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Giorgia Meloni? Non sarà lei a dividere la destra europea

di Fausto Carioti mercoledì 16 agosto 2023

3' di lettura

Non sarà Giorgia Meloni a dividere la destra europea. La premier non ha alcuna voglia di fare grandi intese con i socialisti e non mette alcun veto nei confronti di Marine Le Pen, sebbene la leader del Rassemblement National appartenga ad un’altra famiglia continentale, quella di Identità e Democrazia, collocata più a destra dei conservatori, presieduti dalla stessa Meloni. È il messaggio che la presidente del consiglio invia all’Europa, ma anche ai suoi alleati di governo, tramite l’“intervista di gruppo” a Corriere della Sera, Repubblica e Stampa pubblicata ieri. Ed è anche il segnale che dalle sue parti, nonostante la testa sia ai provvedimenti di politica economica che il governo dovrà varare entro fine anno, già si inizia a respirare aria di elezioni europee.

L’antefatto è di pochi giorni fa e vede protagonista Matteo Salvini. Dal palco della Versiliana, intervistato dal direttore di Libero Alessandro Sallusti, il leader della Lega ha avvertito che «dire no alla Le Pen vuol dire aprire la strada a un governo con la sinistra. E io tra Macron e Le Pen scelgo Marine. Spero che gli alleati di centrodestra facciano altrettanto». Ha spiegato anche che votare la Lega (a conferma che la campagna elettorale è iniziata pure per lui) significherà votare contro il «papocchio tra popolari, socialisti e macronisti». Un guanto disfida lanciato ad Antonio Tajani, il quale ripete che per Forza Italia, come per le altre sigle del Ppe, «è impossibile qualsiasi accordo col partito della signora Le Pen». Ma anche alla premier, a Fdi e ai suoi conservatori, che stanno trattando con il Ppe, il quale, a sua volta, è in maggioranza da sempre coi socialisti. Niente di strano, questa competizione è obbligata e fisiologica: il numero degli elettori di centrodestra è stabile attorno al 45-46%, e alle Europee, in cui si vota col proporzionale, ossia tutti contro tutti, la concorrenza vera è interna alla coalizione.

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L’ipotesi che aleggia a Bruxelles, e alla quale Salvini allude, è che i partiti conservatori, o almeno alcuni di essi, finiscano per accordarsi con il Ppe, i socialisti e i macroniani, dando vita ad una maggioranza un po’ più spostata a destra di quella che sinora ha sorretto la commissione di Ursula von der Leyen, ma pur sempre con il Pd e i suoi parenti europei dentro. Così la presidente di Fdi ha ritenuto necessario mettere le cose in chiaro. Primo: per ciò che riguarda la Le Pen, ha detto, «non ho ragione di mettere veti su nessuno, non ho questa autorevolezza. E comunque non affronto adesso la cosa». Secondo: «Vorrei costruire un’alleanza omogenea. Non credo nelle larghe intese: se non funzionavano in Italia, figuriamoci in Europa». Parole che contengono una presa di distanza da Tajani: l’alleanza col Ppe va benissimo, ma le idee che lei ha sulla Le Pen sono assai diverse da quelle di lui. Posizione che segue di pochi giorni l’annuncio del prelievo una tantum sugli «extraprofitti» delle banche, deciso senza che Tajani e il suo partito ne sapessero nulla («su questi temi», spiega la premier, «è più facile intervenire se le notizie non girano troppo»). In quelle parole c’è anche una risposta alla sfida lanciata da Salvini: se la Lega vuole sottrarre voti a Fdi raccontando che il partito della premier intende isolare la Le Pen e accordarsi coi socialisti, ha sbagliato i calcoli. E sempre in nome della competizione col leader leghista va letto il passaggio in cui la Meloni rivendica la decisione di fare quel prelievo sui profitti delle banche. Domanda: l’idea nasce da un asse tra lei e Salvini? Risposta: «Ve lo dico chiaramente: è un’iniziativa che ho assunto io». Un’uscita che si spiega facilmente in ottica elettorale: quel provvedimento piace alla grandissima maggioranza degli italiani (addirittura al 92%, secondo un sondaggio pubblicato da Affari Italiani) e se una persona sola ne è responsabile significa che il dividendo di consenso deve andare a lei, non ad altri. 

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