Dunque dal prossimo gennaio i “Brics” si allargheranno includendo nel gruppo Arabia Saudita, Iran, Egitto, Emirati Arabi, Argentina ed Etiopia. Non è ancora chiaro come si chiameranno, se Brics+6 o si avventureranno ad allungare ad libitum la fila di iniziali come gli LGBT che nel tempo sono diventati LGBTQIA+ (e non è ancora finita), ma quel che è certo è che l’allargamento si traduce per nulla in un rafforzamento. Per prima cosa in realtà è tutt’altro che scontato. Il ministro degli Esteri saudita Faisal Bin Farhan ha riferito ad Al Arabiya che il Regno ha apprezzato l’invito dei Brics ad unirsi al gruppo ma che si devono ancora studiare i dettagli e una «decisione appropriata» verrà presa in tempo per la data di adesione proposta. Qualcosa di simile hanno fatto sapere anche Egitto, Emirati ed Etiopia, mentre l’adesione dell’Argentina è tutt’altro che scontata dal momento che ad ottobre si vota per la presidenza e due dei tre candidati in lizza sono fermamente contrari ad associarsi a Russia e Cina. Il trionfatore delle primarie, l’ultraliberale Javier Milei, ha già annunciato che il suo eventuale governo si allineerà agli Stati Uniti, mentre la candidata del centrodestra Patricia Bullrich ha detto di essere contraria all’entrata nel gruppo. Rimane l'attuale ministro dell'Economia Sergio Massa, tiepidamente favorevole, ma non certo entusiasta.
Altri Paesi poi avevano chiesto di entrare, si parlava fino a poco tempo fa di 22 in lista d’attesa più un altro numero imprecisato di interessanti, ma alla fine solo 6 hanno fatto qualche passo in più. L’Algeria ad esempio, ne ha fatto qualcuno indietro, anche se si dice che la sua candidatura sia stata bocciata dai Brics stessi per la questione del Fronte Polisario. Va poi considerato, come ha fatto notare Bloomberg, che mentre i membri originali avevano due cose in comune, grandi economie e alti tassi di crescita potenziale, quelli allargati, Sudafrica compreso, sono un gruppo molto poco coerente: alcuni stanno attraversando crisi, altri stanno prosperando. «Questo potrebbe segnalare un’espansione dell’agenda oltre l'economia», scrive Bloomberg, ovvero un’espansione del lato politico del gruppo che è proprio quello che l’India, ma anche il Brasile, vorrebbero evitare. Anche se alla fine ha dato la sua approvazione all’allargamento l’India in particolare è preoccupata che il gruppo diventi una cassa di risonanza della politica cinese. Il presidente brasiliano Lula ha fatto notare che con l'ingresso di Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i Paesi Brics «rappresenteranno il 36% del Pil mondiale e il 47% della popolazione dell'intero pianeta», ma la Cina da sola ha un Pil che è più del doppio degli altri attuali membri del gruppo e con l’allargamento in pratica non cambierà nulla. Finora il contraltare di questa enorme differenza lo ha fatto l'India, mettendosi di traverso ad esempio alla Belt and Road Initiative (la Via della Seta dalla quale l’Italia vorrebbe sfilarsi) che infatti i Brics non hanno mai formalmente approvato.
Oppure imponendo che la New Development Bank, la banca dei Brics con sede a Pechino, non avesse un azionista primario. La Cina ha permesso che tutto ciò succedesse per dimostrare che nei Brics, a differenza del G7, non c’è un Paese dominante e quindi vige una sorte di democrazia. Un concetto che è stato ribadito da Lavrov anche in questi giorni. Per assurdo i Brics sarebbero un un’organizzazione sovranazionale “democratica” composta da Stati “non democratici”, l’esatto contrario del G7, e soprattutto della Nato, organizzazioni dominate degli Usa ma dei quali si fa parte solose siè democratici. La storia insegna però che le organizzazioni sovranazionali paritarie non fanno molti passi avanti, funzionano molto meglio quelle che hanno un Paese guida. Perfino l’Onu, che si trova a metà strada tra queste due impostazioni, con cinque Paesi dominanti che si intralciano la strada tra loro, risulta un carrozzone praticamente inutile, come peraltro la guerra in Ucraina sta dimostrando. È bizzarro peraltro che in un profluvio di ipocrisia i Brics in questi giorni hanno annunciato di voler riformare anche l’Onu, «con l'obiettivo di renderlo più democratico, rappresentativo, efficace ed efficiente». Una contraddizione in termini.