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Italiani in prigione all'estero: ecco quanti sono (e cosa si può fare)

di Fabio Rubini giovedì 31 agosto 2023

3' di lettura

La recente liberazione di Patrick Zaki si sperava potesse portare alla ribalta la situazione degli italiani incarcerati all’estero. Invece niente. Così la sorte degli oltre duemila connazionali in prigione un po’ in tutto il mondo è tornata nell’ombra. Niente striscioni appesi sui muri dei Comuni, niente campagne messe in piedi da qualche vip. Con la sola eccezione di Chico Forti, da oltre 20 anni rinchiuso in una prigione americana, la cui battaglia per il rientro in Italia è sostenuta da una serie di personaggi famosi tra i quali spiccano i cantanti Andrea Bocelli ed Enrico Ruggeri. Eppure i numeri dei prigionieri italiani all’estero sono tutt’altro che trascurabili. Dall’ultimo censimento fatto dalla Farnesina si evince che essi sono 2.069. Il dato che colpisce più di tutti, però, è un altro. Di questi ben 1.057 sono incarcerati, ma in attesa di giudizio. A volte anche da parecchio tempo. È il caso di Stefano Conti, rinchiuso a Panama, in condizioni molto difficili, da oltre un anno con l’accusa di «tratta di esseri umani». Ebbene in tutto questo tempo Conti non è riuscito ad avere un processo. E di casi come il suo ce ne sono a decine. Tornando ai numeri, altri 965 nostri connazionali sono stati condannati in via definitiva e 47 sono in attesa di estradizione.

IN EUROPA
Scendendo ancora più nel particolare vediamo che 1.479 italiani sono detenuti in Europa con la Germania al primo posto (713), seguita da Francia (230) e Spagna (229). Extra Ue ce ne sono 126 nel Regno Unito e 73 in Svizzera. Nel continente americano ce ne sono 33 in Brasile, 31 negli Stati Uniti, 26 in Argentina e 24 nella Repubblica Dominicana. In Medio Oriente il primato va alla Tunisia (11 italiani incarcerati), seguita da Emirati Arabi e Marocco con 7 detenuti ciascuno. Infine l’Asia e l’Oceania con 27 detenuti in Australia, 6 in Cina e 5 in Thailandia. Dire che nessuna delle nostre istituzioni se ne occupa sarebbe ingeneroso, nel senso che ambasciate e consolati fanno quello che possono, coi limiti che vengono loro imposti dalla cronica carenza di personale e di risorse finanziarie. Certo è che la loro azione non è sufficiente a tutelare gli interessi degli italiani all’estero che si trovano in situazioni spiacevoli. Un tema non nuovo per i lettori di Libero, che era emerso anche nel corso dell’inchiesta sui visti irregolari.

Negli ultimi mesi però qualcosa sembra muoversi grazie all’interessamento di Andrea di Giuseppe, l’unico deputato di Fratelli d’Italia eletto all’estero. Sua è stata l’accelerazione decisiva che ha recentemente portato alla scarcerazione in Venezuela di due italiani - Antonio Calvino e Giovanni Mattia- ingiustamente detenuti per 28 mesi, senza che nessuno formalizzasse loro i capi d’imputazione per i quali erano stati arrestati. E c’è da scommettere che questo è stato solo il primo passo, come ci conferma lo stesso di Giuseppe: «Man mano che mi addentro in questa tematica, mi rendo conto che i nostri connazionali si trovano all’interno di un vero e proprio girone dantesco. Non c’è sufficiente attenzione, i nostri funzionari li vanno a trovare, ma poi hanno le mani legate. Per questo mi sto impegnando a fare emergere queste situazioni anche in collegi elettorali - come quello del Sud America che non sono i mieri. Potrei anche non occuparmene, visto che ha già tanto da fare nel mio di collegio (quello del Centro-Nord America, ndr), ma vivo queste cose come una mia battaglia: dove c’è un italiano che soffre, ci sarò anch’io».

IL “MAIE”
Un discorso, quest’ultimo, che riguarda soprattutto il Sud America dove opera il Maie (Movimento associativo italiani all’estero), col quale di Giuseppe ha più volte incrociato i guantoni: «Si tratta di un’associazione che ha gestito la situazione degli italiani all’estero in Sud America e che esprime alcuni parlamentari. Uno di questi - spiega di Giuseppe - recentemente mi ha attaccato dicendo in buona sostanza che dovrei occuparmi solo del mio collegio, senza impicciarmi di quello che succede altrove. Il problema- ribatte l’onorevole - è che quando mi sono accorto della situazione in Sud America sui visti e del fatto che negli ultimi 15 anni le condizioni degli italiani in quelle zone sono sensibilmente peggiorate, perché nessuno aveva fatto nulla, ho deciso di intervenire. E stia tranquillo il mio collega, che continuerò a farlo...». 

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