«Vediamo di fare chiarezza. L’Organizzazione mondiale della sanità ha detto che c’è un rialzo delle infezioni da Covid in alcuni regioni. Io guardo ai dati italiani». Francesco Vaia è uno che va subito al punto e non perde tempo. Fresco fresco (la decisione è arrivata a luglio) di nomina come nuovo direttore generale della Prevenzione al ministro della Salute di Orazio Schillaci, Vaia la pandemia l’ha vissuta in trincea. O meglio, in corsia. All’Istituto Spallanzani di Roma. E ce l’ha spiegata, qui, sulle pagine di Libero, in quegli anni là, quelli dei lockdown e delle limitazioni e del dell’emergenza. green-pass e «Tanto per cominciare», dice, «oggi questi numeri non sono allarmanti perché sono un po’ attesi. Il rientro dalle vacanze, la grande mobilità e la ripresa delle attività li abbiamo constati anche in passato».
Dottor Vaia, ma cosa è cambiato da quel maledetto 2020?
«Tutto. Sia il conto dei casi che sono immensamente inferiori, sia la stessa gravità della malattia che è scesa. Guardi, ci sono due indicatori importanti: l’impatto sugli ospedali e l’età anagrafica a cui si manifesta il Covid. Il primo fenomeno è lieve e modesto, gli ospedali non sono in sofferenza per il Sars-cov2; e il secondo ci ha portati a una patologia molto meno severa che si manifesta prevalentemente nei grandi anziani e nelle persone immuno-compromesse, insomma nei soggetti fragili».
Quelli che ovviamente vanno tutelati. Dobbiamo preoccuparci? Perché qui, oramai, da due giorni, titoloni sui giornali e programmi tivù non parlano d’altro...
«Affatto no. Nessuna preoccupazione. Semmai dobbiamo avere un senso di responsabilità e di prudenza. I cittadini hanno dimostrato di averli negli anni scorsi, bisogna continuare su questa strada. Non abbiamo bisogno di costrizioni, che tra l’altro si sono dimostrate molto improduttive. Pensi alla quarta o la quinta dose di vaccino: sono state un flop. Dobbiamo abituarci a convivere col Covid. Le posso fare un piccolo esempio?».
Prego.
«Sei miei figli hanno l’influenza non li mando a scuola e non li porto a trovare il nonno che magari ha novant’anni e non sta bene. Il senso di responsabilità è quasi sempre il buon senso. E le nostre raccomandazioni sono volte anzitutto a recuperare questo buonsenso. In seconda battuta servono a rendere omogeneo le misure regionali, ma sono state prese sempre d’intesa con questi enti».
Certo. Lei parla di “raccomandazioni”. C’è una bella differenza tra “raccomandazioni” e “limitazioni”. Sbaglio?
«Ha centrato il punto. È un cambio di paradigma. Non stiamo tornando indietro. È solamente un discorso di preparazione: ci stiamo predisponendo, e speriamo che non serva neanche. Però è opportuno, anche in relazione alle esperienze che abbiamo maturato, mettere in campo certe cose».
La pandemia ci ha insegnato che il primo passo è quello. Tuttavia, oramai, si continua a sentire solo il ritornello sull’andamento clinico-epidemiologico...
«La interrompo. È vero. Ma cosa vuol dire? Clinico significa che la malattia è molto più modesta, epidemiologico che c’è un piccolo rialzo. Allora cosa dobbiamo fare? Adottiamo misure, d’accordo. Ma solo per chi ne ha bisogno».
Per questo la campagna vaccinale d’autunno riguarderà appena le fasce deboli?
«Sì. Non ci sarà più l’obbligo vaccinale e neppure un vaccino generalizzato, non tutti dovranno farlo. Chi vuole va bene, ma finisce lì. Nessuno di noi dice che il Covid sia come l’influenza, sono due virus diversi. Diciamo che è endemico: se non ci spaventiamo per l’influenza, non ci spaventiamo più nemmeno per il Covid. Oramai l’abbiamo conosciuto, abbiamo gli strumenti, più di prevenzione che di protezione, perché ci dovremmo preoccuparci?».
L’altra faccia della medaglia è che qualcuno grida addirittura al negazionismo.
«Ecco, no. Nessun allarmismo e nessun negazionismo: ma lo sa cosa mi dicono, spesso, i pazienti che sento al telefono?».
Cosa?
«“Ho un po’ di mal di gola, però sono spaventato perché ci stanno facendo spaventare”. Vorrei che questo concetto sia centrale: se torniamo a questo è peggio. Una persona spaventata si cura male. Dobbiamo dare serenità».
In concreto cosa comporta? Quali sono queste “raccomandazioni” di cui parla?
«Evitare che i sintomatici possano venire in contatto in ambienti assistenziali dove ci sono i fragili, a partire dal pronto soccorso. Se al pronto soccorso devo andarci per forza o necessità, allora troverò un triage che verifica: se c’è un sospetto si farà il tampone, sennò no. Scongiuriamo quel tamponificio inutile che abbiamo visto in passato, serve a niente».
E per gli anziani? Per le Rsa?
«È evidente che anche lì occorra il buonsenso. Semi sento i sintomi, come evito di andare a trovare il nonno a casa, evito anche di andare a visitarlo in ospizio. La prima fase è quella della prevenzione e della protezione, poi viene la vaccinazione».
A proposito: una novità del prossimo ottobre sarà che verranno “mappati” non solo il Covid ma anche gli altri virus respiratori. In che senso?
«Se ho una manifestazione respiratoria la struttura sanitaria dovrebbe fare una diagnosi differenziale perché magari non è Covid. Gli ospedali che possono avere la possibilità è opportuno facciano questa indagine. Si tratta di un atto di ulteriore tutela verso le persone. Approfittiamone per fare un passo in avanti. Sempre in avanti, mai indietro».