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Laura Boldrini in Tunisia per darci più migranti

di Giovanni Sallusti mercoledì 13 settembre 2023

3' di lettura

Non erano abbastanza le devastazioni storiche, le guerre civili, i regimi più o meno fantoccio: adesso l’Africa deve sorbirsi pure la missione internazionale del Pd. È un’iperbole ironica, ma davvero non sapremmo con quale altro registro affrontare la notizia, abbondantemente surreale. Il Pd, reduce da lustri di fallimenti in materia, con in più l’aggravante di aver affossato e condannato alla damnatio memoriae ideologica l’unico che ci stava capendo qualcosa (Marco Minniti), varca il Mediterraneo per esportare la propria trionfale ricetta sulla (non) gestione dei flussi migratori.

Se vi state lasciando andare a un riso amaro, aspettate di sapere da chi è composta l’illuminata delegazione: Peppe Provenzano, il Responsabile Esteri del partito (un tipino rispetto a cui la segretaria Elly è un’arcigna securitaria), e lei, l’incarnazione per eccellenza dell’immigrazionismo compulsivo, Laura Boldrini. I due sono sbarcati ieri in Tunisia per, si legge in una nota, “discutere della crisi democratica, economica e sociale che sta vivendo il Paese nordafricano e delle politiche migratorie nel Mediterraneo”. Appurato che in Tunisia non vedevano l’ora di apprendere da Madame Boldrini e dal compagno Peppe come risolvere i loro problemi interni, quel «per discutere... delle politiche migratorie del Mediterraneo» fa gelare il sangue soprattutto qua, sulla costa europea del suddetto mare.

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Perché la loro strategia a proposito di immigrazione è sempre stata: non ci serve una strategia. Il flusso dev’essere continuo, un ininterrotto frullato cosmopolita di civiltà, perché il confine è il male in sé. Non è una forzatura faziosa, è stata la stessa Boldrini a rivendicare più volte di aver definito i migranti (clandestini o meno, d’altronde è una distinzione reazionaria che non riconosce) come «l’avanguardia della globalizzazione». Capite che non ci sentiamo tranquillissimi, ad immaginarla mentre intrattiene la classe dirigente tunisina con le proposte democratiche alternative al recente accordo Ue-Tunisia, che è stata un’oggettiva vittoria politica di Giorgia Meloni. L’ottica l’ha spiegata Brando Benifei, capodelegazione Pd al Parlamento europeo: “Questo accordo preoccupa perché l’esperienza libica dovrebbe averci insegnato come accordi bilaterali di questo tipo siano drammaticamente fallimentari”.

No, semmai l’esperienza libica ci ha insegnato l’esatto contrario, ovvero che finché c’era un attore unico e stabile (Gheddafi), l’accordo bilaterale era esattamente il modello più efficace di controllo delle partenze. Il presidente tunisino Saïed è un attore unico, certamente ha impresso una deriva autoritaria al Paese, ma certamente assai meno di quanto hanno fatto Assad in Siria o Erdogan in Turchia, figure con cui Angela Merkel (finché era in auge, Madonna pellegrina dell’ortodossia europeista) fece esattamente questo, accordi bilaterali. Ma Benifei vive in un mondo suo, e aggiunge senza sprezzo del ridicolo: «L’Europa deve finalmente fare una propria politica sulla migrazione fondata su flussi legali, solidarietà e accordi che rispettino i nostri valori». Ovvero, quello che la sinistra boldriniana a lungo di governo non ha mai fatto, anzi non ha mai nemmeno chiesto sui tavoli europei, limitandosi a ricevere lietamente la delega ad accogliere chiunque. Per mutuare il loro linguaggio, la Boldrini & Co sono stati a lungo una “risorsa” per chi voleva e incentivava l’immigrazione incontrollata. Che si rechino sul posto a rievocare i vecchi tempi, più che una notizia, è un allarme. Rosso, chiaramente. 

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