Pubblichiamo ampi stralci dell'articolo scritto dal direttore responsabile di Libero, Mario Sechi, pubblicato sull'ultimo numero di Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia, da oggi in edicola e nelle migliori librerie
Giorgia Meloni non crede a spazi occupati da istituzioni senza memoria; ha come riferimento e punto di partenza di ogni convivenza la nazione, quella descritta da Ernest Renan: “La Nazione è una grande solidarietà, un plebiscito che si rinnova ogni giorno e che si fonda sulla dimensione dei sacrifici compiuti e di quelli che ancora siamo disposti a compiere insieme”. “Insieme”: altra parola chiave del lessico meloniano.
Ci sono molte visioni d’Europa. Dietro le parole si celano progetti istituzionali diversi: il primo, quello ribadito Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo scritto dal direttore responsabile di Libero, Mario Sechi, pubblicato sull’ultimo numero di Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia, da oggi in edicola e nelle migliori librerie.
segue dalla prima da Mario Draghi nel suo intervento sull’Economist, prevede crescenti cessioni di sovranità (e in ogni caso bisogna vedere il quantum della visione draghiana); il secondo trasferisce al governo di Bruxelles solo alcune competenze, ma tiene ancorate allo Stato materie che sono fondamento della nazione.
L’Unione Europea nello scenario post-pandemico è un abbozzo fermo al montaliano “ciò che non siamo / ciò che non vogliamo”, un luogo di libertà che non ha strumenti per difenderla (l’esercito europeo) e schierarla in campo (la politica estera), con un mercato a cui mancano le materie prime fondamentali del presente hi-tech (energia sicura e a basso costo, terre rare) e un soft power unico (storia, arte, cultura). Una bella addormentata. Si sveglierà? I prossimi mesi da qui al voto europeo ci daranno la risposta. Il gioco è aperto e Meloni è un pezzo pregiato sulla scacchiera.
Un anno di governo Meloni racconta molto, ma non ancora tutto sulla strategia della prima donna alla guida di Palazzo Chigi nella storia d’Italia. Partiamo da un dato politico: Meloni è di destra. È un punto che sfugge ai suoi critici: non una destra antica, ma moderna. Fratelli d’Italia è lei, il fenomeno “Giorgia” è un “avanti-pop” fuori dalla portata degli schemi interpretativi, orbita a distanza siderale dai riflessi automatici dell’intellettuale che la dipinge come ciò che non è. I liberalconservatori la misurano pensando a Lord Acton, i liberal e basta la immaginano impegnata in riti celtici e statalizzazioni. Tutti sbagliano, per eccesso di critica e per difetto di immaginazione. Il surreale dibattito innescato dai gazzettieri di vario conio sul “fascismo” è la testimonianza del deficit d’analisi degli intellettuali (italiani e non) di fronte al “melonismo”.
MITI E FATTI DEL “CASO MELONI”
All’inizio della sua stagione al governo, furono sprecati ettolitri d’inchiostro per costruire un “caso Meloni” in Europa. Ecco i tre pilastri di questa strategia di comunicazione: 1. Meloni è antieuropea. 2. L’Italia è isolata nell’Unione Europea. 3. Meloni ha un problema con lo stato di diritto, come lo hanno Polonia e Ungheria.
È una Santa Barbara retorica con le polveri bagnate. Rivediamo il film: 1. Meloni ha relazioni ottime con tutti i leader europei, nei vertici bilaterali e nei consigli europei esprime posizioni che sui vari temi sono largamente condivise; il suo rapporto con i capi di Stato e di governo è parte della normale dialettica dei vertici di Bruxelles.
2. L’Italia è un paese di cui oggi nessuno può fare a meno: è uno dei partner chiave nella coalizione che assiste l’Ucraina contro la Russia; ha dato un contributo fondamentale per il disaccoppiamento energetico dal gas di Mosca; ha sulle spalle il peso crescente dell’immigrazione dall’Africa di cui oggi è l’interlocutore più affidabile.
3. Il governo Meloni non ha progetti istituzionali che cambiano l’architettura della separazione dei poteri, ha in cantiere un progetto di premierato e parlamentarismo che non è un’eresia ma un fatto costituzionale consolidato in Europa; non ha subordinato i procuratori della Repubblica all’esecutivo (come accade in Spagna); ha mantenuto inalterata la legislazione vigente sui diritti e le minoranze; l’informazione è libera e per ragioni culturali e storia del giornalismo italiano è largamente antigovernativa.
L’ITALIA SPINGE L’UNIONE
Con queste premesse, il melonismo è arrivato al Consiglio europeo, ottenendo l’attenzione che merita una nazione importante come l’Italia. Tutti i leader dell’Unione Europea sono consapevoli non solo del fatto che il governo Meloni ha la concreta possibilità di arrivare a fine legislatura (cosa rara per l’Italia), ma che la premier guida un partito che può cambiare gli attuali assetti della maggioranza al Parlamento europeo. È un dato di realtà che alimenta le dinamiche nel Consiglio europeo e plasma i rapporti bilaterali dell’Italia con gli altri Stati.
Due sono i passaggi che chiudono il 2023 e aprono il 2024, l’anno delle elezioni per rinnovare il Parlamento di Strasburgo e disegnare la Commissione UE: 1. In Europa, il negoziato sul nuovo Patto di Stabilità. 2. In Italia, la legge di bilancio. Sono giri di boa collegati: il nuovo Patto di Stabilità proietta regole contabili sulla legge di bilancio, fissa i punti cardinali dell’impegno economico-finanziario dell’Italia, apre (o chiude) possibilità di investimento per il futuro. Rimesso in carreggiata il PNRR (le rate stanno andando regolarmente all’incasso dopo una necessaria e coraggiosa riformulazione del piano, fatta in pieno accordo con la Commissione UE), il Patto rivela le divisioni dell’Europa. Non c’è un “problema Italia”, esiste un “problema dell’Unione” che si risolve voltando pagina rispetto al passato. Tutti sanno che non si può tornare all’antica rigidità perché il mondo è cambiato.
L’Italia chiede un Patto più flessibile nei parametri e sull’uso dei fondi e due interventi che fanno parte dell’urgenza storica: le spese per la guerra in Ucraina e gli investimenti perla transizione energetica non devono essere computati nel debito. Sarebbe opportuno considerare fuori dal Patto anche le spese perla difesa delle frontiere europee. Non c’è solo il fianco est che guarda alla Russia, c’è anche il Mediterraneo, teatro di enormi shock geopolitici (guerre, carestie, cambiamento climatico). L’immigrazione non è un problema solo dell’Italia, ma è ancora allo stato nascente un’azione corale dell’Europa, il bilancio sul contrasto all’immigrazione irregolare è a dir poco insufficiente. Cosa fare? Il governo italiano porta avanti un cambio di paradigma, quello che viene dipinto come un governo euroscettico sul punto chiede che vi sia più Europa.
NECESSITÀ DI VOLTARE PAGINA
La leadership di Giorgia Meloni si basa (e non accadeva dal 2008) sulla netta vittoria del centrodestra nelle elezioni del 25 settembre 2022. L’Italia non aveva un governo politico, figlio del risultato chiaro del voto, da 15 anni. Altro dato fondamentale per capire la novità portata dall’affermazione di Meloni: dal 1994 a oggi l’Italia ha avuto 18 governi. Tutti i governi di coalizione hanno una difficile gestione quotidiana, mala (potenziale) stabilità dell’esecutivo a trazione Meloni è un fattore nuovo rispetto alla storia degli ultimi trent’anni.
Proiettato in Europa, questo scenario italiano di continuità apre nuove prospettive. Vediamole. Emmanuel Macron è al suo ultimo mandato da presidente di una Francia con una destra forte e un paese profondamente diviso; il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz inanella sconfitte elettorali in una Germania che deve reinventare la sua missione nel mondo dopo lo shock sul fronte orientale (che va dalla catena degli Urali fino alla Grande Muraglia); la Spagna conferma la sua crisi istituzionale con elezioni che rivelano complicazioni e tentativi di governi patchwork dove né i socialisti né i popolari hanno la soluzione ideale; la Polonia, un gigante che guarda più a Washington che a Bruxelles, “cuscinetto” tra noi e le pulsioni distruttive del Cremlino, determinata a combattere per i suoi confini, ha una società dinamica, identitaria e un quadro politico mutevole; Ursula von der Leyen e Mark Rutte si sono lasciati guidare da Meloni in Tunisia, alla ricerca di un nuovo inizio delle relazioni tra l’Unione Europea e l’Africa, un disegno “non predatorio” (una frase che Meloni usa spesso) per il continente nero dimenticato, fonte di instabilità, grande opportunità di futuro fino a oggi mancata dagli europei e lasciata alle febbre della R scorribande wagneriane della Russia e allo sfruttamento senza sviluppo da parte della Cina.
Si volta pagina, perché senza un nuovo racconto per noi europei sarà impossibile resistere alle ondate della storia che giungono dalla frontiera del Mediterraneo. Contati i pezzi sulla scacchiera di oggi e domani, chiusa l’era della cancelliera Angela Merkel, emerge lei, Giorgia Meloni.
FUTURA LEADER DELL’EUROPA?
Esiste una possibilità di leadership europea di Meloni? Il comando si esercita con l’influenza. Sto ben piantato sulla terra del cronista, posso dunque solo testimoniare che Meloni è già una star internazionale, tutti vogliono incontrare la premier italiana. Joe Biden la prende per mano a Hiroshima e colloquia con lei nello studio ovale con il tono e la stima che si riserva a chi condivide i valori dell’atlantismo; Rishi Sunak ha un rapporto visibile di stima e amicizia, a Downing Street il primo ministro inglese le mostra l’archivio di Margaret Thatcher, sono due giovani che cercano un nuovo spartito per la politica di Regno Unito e Europa dopo la Brexit; Emmanuel Macron, dopo le prime asprezze dovute all’eterna competizione tra Italia e Francia, la incontra e ascolta, parla con lei per tre ore in un incontro a due, senza delegazioni, all’Hotel Amigo di Bruxelles, ne coglie la novità del discorso durante il vertice del G7 a Hiroshima, è consapevole di avere di fronte un leader del futuro; Olaf Scholz ne apprezza la concretezza e porta le ali di Lufthansa a Roma; Pedro Sanchez le assicura impegno e collaborazione durante il semestre di presidenza della Spagna in Europa; Recep Tayyip Erdogan, leader di una nazione che è ponte tra Oriente e Occidente, in un bilaterale al vertice NATO di Vilnius spalanca le porte della Turchia al governo italiano, auspicando un impegno di Meloni per l’ingresso di Ankara nell’Unione Europea. Sono frammenti di una tela diplomatica che ho avuto la fortuna di vedere e appuntare sul mio taccuino.
La formula-Meloni è semplice, diretta: nei vertici internazionali dice quello che gran parte degli altri leader non riesce più a dire perché intrappolato nella rete del politicamente corretto. È un parlare chiaro che fa breccia, riapre la discussione, una ventata di freschezza. (...) Le vie della politica sono infinite, gli errori tanti, il quadro della contemporaneità caotico. I prossimi mesi saranno duri, c’è chi pensa a uno scenario di stagflazione per l’Europa, il dollaro sta vincendo sull’euro e la politica monetaria della BCE sta azzerando la crescita. Non sarà facile per Meloni (e chiunque altro), mantenere alta la fiducia e convincere l’Unione Europea a osare, uscire dal déjà vu, cambiare il programma del pilota automatico di Bruxelles e le astratte idee di Francoforte rispetto all’economia reale. Ce la farà Meloni a imprimere una nuova direzione? Una cosa è chiara: la sua forza, un realismo dove niente è impossibile. Chi non coltiva splendide utopie non prende un partito in macerie e lo fa diventare prima forza in parlamento, chi non si nutre di sogni non diventa la prima donna a governare l’Italia, chi non ha un libro da scrivere non diventa protagonista nel gran teatro della politica internazionale. Il cantiere di Giorgia Meloni è aperto.