Certo, un taglio delle tasse strutturale sarebbe stato meglio. Così come avrebbero fatto comodo risorse aggiuntive per favorire gli investimenti delle imprese e sostenere il potere d’acquisto anche del ceto medio. Ma forse si poteva pure arrivare all’appuntamento col ritorno del patto di Stabilità senza i 350 miliardi di debito caricati sul bilancio dai governi Conte e Draghi o senza dover coprire il prossimo anno (e quelli dopo) un buco di 20 miliardi del Superbonus.
Se poi la Bce avesse gestito diversamente la lotta all’inflazione forse non ci sarebbero neanche da pagare 13 miliardi in più di interessi sullo stock di Bot e Btp. Chi ieri ha criticato la manovra per lo scarso slancio e la sua debolezza è lo stesso che tre anni fa sperperava quattrini senza freni e che un anno fa temeva per la tenuta dei conti pubblici. Ed è anche lo stesso che solo qualche giorno fa lanciava allarmi sul drammatico autunno del rating, con le agenzie pronte ad impallinarci già dal prossimo 20 ottobre (S&P sarà la prima, poi toccherà a Fitch e Moody’s) se la manovra non sarà ritenuta sufficientemente seria e prudente. La realtà è che il governo è riuscito a mettere sul tavolo una finanziaria da 24 miliardi e una riforma fiscale da 4 miliardi utilizzando il buon senso, una robusta sforbiciata alla spesa e un limitato spazio in deficit per il 2024 dello 0,7% (portando il rapporto con il Pil al 4,3%), che rappresenta l’azzardo massimo possibile (la Francia è arrivata fino al 4,4%) concesso dalla situazione dei nostri conti pubblici, dai nuovi vincoli Ue e dalla congiuntura internazionale.
MENO TASSE
Troppo poco? Niente slancio? Può essere. Intanto, però, il prossimo anno grazie alla conferma per 12 mesi del taglio del cuneo maggiorato (quest’anno ha avuto effetto solo nel secondo semestre), all’accorpamento delle prime due aliquote Irpef (che tra l’altro è un bell’antipasto della semplificazione fiscale) e all’innalzamento della no tax area a 8.500 euro i lavoratori sotto i 35mila euro di reddito si troveranno fino a 1.300 euro l’anno in più in busta paga, le donne con due o più figli si vedranno azzerare l’esborso contributivo, le imprese che sono già in Italia potranno contare su robuste detassazioni (soprattutto al Sud) per assumere giovani e, guarda un po’, anche percettori del vecchio reddito di cittadinanza, mentre quelle che sono all’estero e riportano qui la produzione potranno dimezzare il conto del fisco. Ci sono poi la detassazione dei premi di produttività, dei fringe benefit, il rifinanziamento delle misure per il caro energia, gli aiuti per la spesa delle famiglie, il rafforzamento dei bonus per asili nido e mutui prima casa, l’addio al temutissimo acconto fiscale di novembre per gli autonomi. E nel calderone ci sono anche 5 miliardi per il rinnovo dei contratti degli statali e, udite udite, uno stanziamento aggiuntivo rispetto all'aumento già previsto a legislazione vigente perla sanità di 3 miliardi, più 4,2 miliardi a decorrere dall’anno 2026.
L’EREDITÀ
Si poteva fare di più? Certamente sì. Ma servivano soldi, non coraggio. E i soldi in Italia, negli ultimi decenni, si sono trovati solo in due modi: con le tasse o facendoseli prestare. E spesso una cosa non ha escluso l’altra. Il debito pubblico nel 2011, l’ultimo anno in cui a Palazzo Chigi c’era un governo espressione delle urne, era al 119% del pil. Un anno dopo, con il professor Monti, malgrado la gragnuola di balzelli e la mannaia della Fornero, era al 126%. E poi Letta, Renzi, Gentiloni. Altre imposte, ma siamo comunque arrivati al 134%. Ora che è salito fino al 140% (e sarebbe stato ben più alto senza il rimbalzo del pil post-pandemico) qualcuno forse si aspettava il miracolo: una manovra espansiva con contestuale riduzione del rosso, per far contenti cittadini, mercati e Ue. Beh, forse nelle favole di Pinocchio si può credere all’albero degli zecchini d’oro, ma nel mondo reale la ricchezza, a meno che non si decida di toglierla a chi se l’è guadagnata, bisogna produrla.
E quelle poche risorse a disposizione, il governo le ha messe proprio lì, nel settore produttivo. Privilegiando i redditi medio bassi, come consigliano tutte le istituzioni finanziarie, e le dinamiche occupazionali (che fortunatamente ancora tengono con livelli da record), che sono l’unico modo per navigare controcorrente nelle rapide dell’inflazione. Ma vogliamo davvero pensare che, potendo scegliere, a pochi mesi dalle europee, il governo abbia rinunciato senza pensieri ad una bella manovra elettorale, con ricchi premi e cotillon?