Greta Thunberg è a Londra per il fine settimana. La sua vita, da che ha deciso di abbandonare la scuola a quattordici anni a causa dell’inquinamento, è una gita incessante. Come quasi ogni venerdì, la signorina ieri è scesa in piazza con altoparlante in mano e grugno spianato. «Oggi scioperiamo in solidarietà con la Palestina e Gaza», ha spronato i quattro fessi di seguaci che ha, convocati per il clima rovente, ma convinti che si trattasse di quello meteorologico e non bellico.
A parte che per scioperare bisogna avere un lavoro, bene raro tra gli eco-ansiosi, il mischione tra il verde della natura e quello dell’islam partorito dalla mente della rompiscatole svedese è rivelatore. I maliziosi sostengono che questa saldatura svela il vero obiettivo dell’estremismo ambientalista, ovverosia distruggere l’Occidente, il suo modo di vivere e produrre e la sua cultura. Insomma, il surriscaldamento planetario c’entrerebbe poco con la protesta, sarebbe un semplice pretesto per terremotare la nostra società. D’altronde, ogni generazione, dal Dopoguerra in poi, ha la sua minoranza di invasati che vogliono cambiare il mondo per peggiorarlo.
Noi di Libero però propendiamo per una versione più buonista dell’eco-teppismo folle di Greta e dei suoi seguaci. Sono dei modaioli superficiali. Così come sfilano per l’ambiente ricchi unicamente della loro assoluta incompetenza, senza avere soluzioni realistiche contro l’inquinamento, dedicano una protesta una tantum alla causa palestinese senza essersene mai occupati prima e probabilmente senza sapere nulla di Israele e poco dei millenni di sofferenza del popolo ebraico. Scendono in piazza per esistere, il conformismo della protesta, dalla ritualità prescelta ai temi difesi fino alla profondità del pensiero. Un fulmine di saggezza li ha colpiti e si sono resi conto che, se vogliono durare, continuare ad avere voce in capitolo senza nulla fare e nulla sapere, devono arricchire il repertorio. Oggi è Gaza, domani chissà, il progetto degli attivisti è sempre lo stesso: la rivoluzione senza sporcarsi le mani, solo alzando la voce.
Quanto sarebbe più semplice se tutti coloro che sfilano per la Palestina, Greta in testa, dicessero per una volta la verità: di Gaza ce n’è sempre importato poco, ultimamente eravamo addirittura convinti che fosse diventato un fronte secondario e pertanto ci stava benissimo che i suoi abitanti vivessero male, di sussidi e sotto una dittatura terroristica, visto che non si tengono elezioni dal 2006. Siccome sappiamo, anche se ci guardiamo bene dal dirlo perché altrimenti non saremmo veri attivisti, che l’islam fanatico è pericoloso, imprevedibile, folle e potrebbe distruggere il mondo convinto di adempiere a un precetto religioso, sfiliamo nella speranza di fare pressione su Israele perché non attacchi, rischiando di scatenare una guerra atomica. Come il presidente americano Joe Biden, ci affidiamo a chi ha testa, sperando ce la metta, e a chi ha rispetto per la vita, propria e altrui. A differenza di Biden, che ha riconosciuto gli errori degli Usa, noi non ammetteremo mai i nostri.