«Le cose umane sono tutte fragili, siamo tutti esposti alle intemperie e alle vicende della vita. Le relazioni possono finire, possono rimarginarsi o meno. Questo in fondo è il semplice messaggio dello spot di Esselunga, sul quale la sinistra ha creato indebitamente un caso, perché in realtà si limitava a raffigurare qualcosa che tanti hanno vissuto e vivono tuttora, qualcosa di insito nell’aleatorietà delle cose umane, ma che non riesce a comprimere il desiderio dei bambini di avere vicino papà e mamma».
A sinistra tanti, e soprattutto tante, hanno interpretato la separazione tra Giorgia Meloni e Andrea Giambruno come l’ultimo chiodo sulla bara del modello «tradizionale» di famiglia: un uomo, una donna, uno o più figli. La morale che ricava dalla vicenda Eugenia Roccella, ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, è molto diversa: quel modello di famiglia non ha alternative, ma la sinistra usa la separazione della premier dal compagno per proporre modelli prodotti dall’ideologia e senza fondamento nella realtà.
Ministra Roccella, il riassunto della morale che la sinistra ha tratto dalla vicenda Giambruno è in una frase di Luciana Littizzetto: «La famiglia tradizionale è saltata, non basterà una pesca a salvarla». Partiamo dalle basi. Cosa è la famiglia tradizionale che questo governo è accusato di difendere?
«Non capisco questo ossessivo bisogno di aggettivazioni. “Famiglia tradizionale” è un’etichetta utilizzata da chi vorrebbe liquidare quella che è semplicemente la famiglia su cui sono fondate la comunità umana e la successione solidale delle generazioni. Ricorrere a queste continue definizioni, definire “tradizionale” la famiglia da cui tutti siamo nati e continuiamo a nascere, sempre in contrapposizione a qualcos’altro, denota l’idea di smontarla».
Smontarla in che modo?
«Siccome la realtà per cui siamo tutti figli di un uomo e di una donna non può essere negata né modificata a prescindere dalle modalità con cui avviene la procreazione, la nuova frontiera è la frammentazione della genitorialità».
Vale a dire?
«La paternità e la maternità vengono sbriciolate attraverso la tecnologia: si prende a pagamento un ovocita da una parte, un gamete maschile da un’altra, e poi si cerca una donna che presti l’utero, ovviamente sempre dietro pagamento. Èil grande mercato transnazionale della genitorialità, dove quello che conta non è più la relazione, ma il contratto. Ovviamente con transazioni in denaro, regole rigide e penalità nel caso qualcuno cambi idea. Non mi sembra si possa definire un nuovo modello».
Una posizione ideologica, secondo i vostri avversari.
«La vera ideologia non è la difesa della famiglia, ma questo bisogno di applicare a tutto una definizione, un modello ortopedico, e di incasellare tutto in una norma legislativa e in un modello predefinito».
Se voi di destra non difendete la famiglia tradizionale, cosa difendete?
«Semplicemente la famiglia, definita dalla Costituzione più bella del mondo come “società naturale”, un concetto che va ben oltre l’idea di tradizione. Poi, ovviamente, c’è la libertà di ciascuno di vivere la propria affettività come desidera. Quella che veniamo accusati di voler difendere – ed è surreale che si tratti di un’accusa – è l’esperienza che tutti abbiamo vissuto, da cui tutti proveniamo, dal momento che siamo tutti figli di un uomo e di una donna, nati nel grembo di una donna, e che questo non cambia neanche con le nuove tecniche di procreazione assistita».
E non crede che questo modello stia saltando, come dice la Littizzetto? «È impossibile che questo modello salti, perché è quello da cui origina la continuità della società umana. $ un modello che non ha alternative perché poggia su una realtà di fatto. Una realtà che non lede la libertà di nessuno, non toglie nulla a nessuno, ma arricchisce la società assicurandole, attraverso la filiazione, una prospettiva generazionale di futuro».
Il modello della famiglia «naturale» non avrà alternative, come dice lei, ma è comunque in crisi.
«È vero che è entrato in crisi, perché le famiglie sono sempre più fragili e sempre più esposte. Basti pensare che ormai il 30 per cento dei nuclei familiari in Italia è costituito da una persona sola, basti pensare al crollo della natalità. Ma questo non significa che ci siano “modelli” alternativi, perché in realtà è proprio sbagliato parlare di “modelli”. La stessa cosiddetta “famiglia queer”, di cui tanto si è parlato, non è altro che una delle forme di rapporti fra persone che sono stati sperimentate già negli anni Settanta con le cosiddette comuni».
Le vicende familiari e private dei leader e di molti esponenti del centrodestra sono assai lontane dal modello “tradizionale”. In questo modo non si presta il fianco all’accusa di ipocrisia? «Ciascuno è libero di vivere i propri sentimenti e le proprie relazioni. Io stessa provengo da una famiglia molto particolare, molto atipica, molto libera, e ritengo che ogni persona debba costruire la propria relazionalità in piena libertà, in base ai propri bisogni, desideri e convincimenti. Le relazioni affettive sono quanto di più privato e personale possa esistere, non hanno modelli, ognuno le costruisce a partire da sé».
E davanti a realtà private così complesse e diverse che cosa deve fare lo Stato?
«Lo Stato non può certo intromettersi nella dimensione affettiva. Quello che lo Stato fa è fornire un quadro giuridico di riferimento, che ovviamente non investe i sentimenti o la sessualità, ma riguarda la tutela dei figli e la continuità fra le generazioni, che ha indiscutibilmente un rilievo pubblico. A questo serve il modello giuridico definito nella Costituzione».