La bellezza di 15 miliardi, che a partire da subito, e per i prossimi anni, saranno a disposizione dell’Italia per rinnovare, costruire e migliorare il nostro parco centrali idroelettriche. È questa la prospettiva che viene introdotta grazie alle misure contenute nel Dl Energia predisposto dal Mase di Pichetto Fratin. Un provvedimento che contribuirebbe in un colpo solo ad alleggerire la tradizionale dipendenza energetica dall’estero, garantendo all’Italia un notevole contributo agli obiettivi “green” fissati con l’Europa. Entro metà novembre il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto (che sta gestendo la delicata partita in Europa), presenterà a Bruxelles la linea italiana. E proprio per l’importanza della tematica anche il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiesto ulteriori approfondimenti. Secondo il testo del Decreto Energia- su cui Fitto, Salvini, Pichetto Fratin e Giorgetti hanno lavoranto di cesello- l’intento è di fare leva su una necessità incontestabile per rafforzare «l’autonomia energetica nazionale» introducendo, insieme alla già prevista possibilità di gare pubbliche, anche la facoltà per le Regioni di riassegnare ai «concessionari uscenti o scaduti» le concessioni. Il tutto a fronte di piani pluriennali di investimento per infrastrutture e territori. Entro il 2029 – praticamente dopodomani quando si tratta di lavori così rilevanti – andrà in scadenza il 70% delle concessioni.
CONCESSIONI RAPIDE
Il tempo stringe. Senza l’approvazione del Dl Energia nel suo complesso, in particolare la norma sull’idroelettrico, si andrebbero a perdere miliardi di investimenti di cui si potrebbe disporre immediatamente. Regioni, Comuni e le altre autorità locali competenti sono già d’accordo, perché avrebbero a disposizione una soluzione normativa in grado di portare immediati benefici sul territorio. È fondamentale che tutte le istituzioni coinvolte procedano compatte - come hanno dimostrato di saper fare lavorando al testo di questo Decreto quando ci si mette a difesa di infrastrutture nazionali cruciali per la sicurezza del sistema e per il contributo che possono dare all’economia. E questa volta compatti si è giunti alla versione finale del Decreto, che di fatto introduce la virtuosa alternativa. Il Dl Energia potrebbe approdare già venerdì 10 novembre a Palazzo Chigi (al massimo in un Cdm straordinario entro metà mese), e porterà in dote una scelta strategica fondamentale, da affiancare alla norma ora vigente secondo la quale l’assegnazione alla scadenza avvenga con gara pubblica a soggetto privato o a società mista pubblico-privata (in cui il privato viene selezionato con gara), o a società pubblica al 100%.
La proposta punta ad attivare sin da subito investimenti che supereranno i 15 miliardi di euro, interamente provenienti da società private. Risorse che, quindi, a differenza dei pur preziosi fondi Pnrr, non dovranno essere restituiti. Inoltre, sarebbe molto importante per promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili, dare una spinta al Pil e nuovo impulso a tutto l’indotto. Tanto da centrare anche gli obbiettivi imposti dalla transizione ecologica europea. Proseguire senza questa alternativa significherebbe creare disparità e, di fatto, rendere meno competitivi i player italiani del settore, che non potrebbero partecipare a gare negli altri Stati membri. A tempo stesso subirebbero in Italia la concorrenza di soggetti stranieri.
Un paradosso. Attenzione: non c’è alcun obbligo europeo in questo senso.
La Commissione europea, nel settembre 2021, ha infatti archiviato la ventilata procedura d’infrazione sulle concessioni idroelettriche. Procedura avviata anche nei confronti di Austria, Regno Unito, Polonia, Germania e Svezia. Adesso anche Bruxelles concorda: ciascuno Stato è libero di decidere le procedure di assegnazione. In Europa la maggior parte dei Paesi non prevede gare, si opta su rinnovi senza procedure competitive, se non addirittura concessioni illimitate e dirette agli operatori nazionali. L’Austria ha una durata delle concessioni di 90 anni. La Svezia addirittura prevede una durata illimitata per le concessioni, la Francia le ha prorogate ad un’azienda idroelettrica nazionale fino al 2041. Le imprese italiane del settore possiedono un know how e un’esperienza internazionale invidiabile. Realizzano da decenni colossi idroelettrici in mezzo mondo. E questa volta poterlo fare a casa propria contando magari su un percorso burocratico più snello - rappresenterebbe un notevole abbrivio per la crescita economica di tutto il sistema Paese.
Con un poderoso contributo alla crescita dell’economia nazionale.
VOLANO DI CRESCITA
Inoltre in Italia sembra essere ormai maturata la consapevolezza che non possiamo più contare solo su forniture esterne. Ed è emersa la necessità di tutelare un doppio asset strategico per l’intero sistema Paese. Tra gli effetti indotti del conflitto Russia Ucraina - e il conseguente taglio delle forniture di gas- la crisi sul fronte orientale europeo ha messo in luce tutta la fragilità energetica europea. Si è tamponato in fretta e furia diversificando le fonti di approvvigionamento (Algeria, Azerbaijan, Qatar), ma permangono le instabilità politiche dei Paesi da cui ci riforniamo. È vero che oggi questo discorso vale anche per il gas, proprio perché non possiamo certo affermare di aver ancora raggiunto l’indipendenza energetica. C’è voluta una guerra ai bastioni orientali d’Europa per rendersi conto che potevamo restare “al freddo e al gelo”. «In Italia sono in funzione 4.783 impianti idroelettrici con una potenza di 21.810 MW», scandisce Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, l’associazione di settore che aderisce a Confindustria. Nel 2030 la domanda di energia elettrica arriverà a 360 TWh (oggi siamo a 305). Fra soli 7 anni - proiezioni Accenture - oltre l’80% del mix elettrico italiano deriverà da fonti rinnovabili. Contribuendo non poco al raggiungimento degli obiettivi green imposti da Bruxelles. È evidente, quindi, che c’è la necessità di cogliere il momento per accelerare il potenziamento e ammodernamento del parco idroelettrico. Ma bisogna «mettersi tutti quanti alla stanga», come puntualizzato anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Facendo fronte comune: governo, maggioranza, opposizione, amministratori locali, aziende.