Molti giornalisti hanno scritto della vittoria di Milei, ma ce n’è uno il cui articolo lo stesso Milei ha retwittato: è Lorenzo Montanari, un reggiano classe 1974 che è Director of the international advocacy & affairs della Americans for Tax Reform, organizzazione che promuove negli Usa e nel mondo l’impegno dei politici a ridurre le tasse; e anche Executive Director of the Property Rights Alliance, un'organizzazione di advocacy dedita alla protezione dell'innovazione, dei diritti di proprietà intellettuale e dei diritti di proprietà fisica in tutto il mondo. Un “rilancio” dovuto a un rapporto che c’è tra loro da molti anni. «Abbiamo lavorato da anni assieme alla Associazione dei contribuenti argentini, la Asociación Argentina de Contribuyentes di Jonas Torrico, per promuovere il Taxpayers Pledg. Il patto sulle tasse con cui chiediamo ai politici di impegnarsi per non aumentarle. Così il nostro partner argentino è riuscito a lavorare con il team di Milei e a ottenere nel 2021 la firma pubblica in televisione nelle principali trasmissioni argentine in merito al patto. Questo patto ha permesso di rimodificare completamente la narrativa elettorale della campagna elettorale nazionale. Questo ha permesso di creare un vantaggio competitivo di Milei rispetto a tutti gli altri candidati, tanto è che la tematica delle tasse è diventata una moving issue, una tematica centrale nella campagna elettorale. Quindi per la prima volta è entrata nel dibattuto argentino l’idea che le tasse basse possono creare e sono uno strumento fondamentale per creare sviluppo economico».
Cosa rappresenta la vittoria di Milei?
«A livello mondiale è il primo politico firmatario del Pledge che diventa capo di Stato. In Argentina la vittoria di Milei rappresenta un cambio radicale perché per la prima volta dopo 45 anni di vari governo peronisti e soprattutto negli ultimi 20 anni di kirchnerismo il popolo argentino ha con questo voto così forte, 54%, 12 punti di distacco rispetto al candidato Sergio Massa, espresso un rifiuto totale del fallimento delle politiche socialiste e protezioniste, che hanno portato a una inflazione al 150% e al 40% degli argentini che vive sotto la linea della povertà. Questo è sicuramente il grande cambio. Credo che si possa parlare dell’inizio del declino del peronismo come si è visto fino adesso e l’inizio del ritorno dell’idea di liberalismo o di libertà in termini economici nella narrativa politica argentina. L’Argentina ha avuto grandi intellettuali liberali come Juan Bautista Alberdi, e sicuramente lo spirito di Alberdi aleggia in Argentina. Milei è riuscito a incarnare e a interpretare questa grande voglia di cambiamento nel popolo argentino. Un cambiamento che è trasversale e interclasse, perché abbiamo visto che ha preso tantissimi voti tra le fasce più povere, nelle parti giovanili. Praticamente è un voto interclassista. Ed è confermato dal risultato straordinario, del 54 per cento».
Ma il suo programma possa essere realizzato? Tenendo conto del fatto che non ha maggioranza in Congresso...
«Sicuramente il programma di Milei è un programma ambizioso. “Rivoluzionario”, tra virgolette, nel senso che vorrebbe cambiare la matrice economica di un Paese che è completamente sindacalizzato da questo peronismo dilagante che è entrato in tutti i settori della società. Sicuramente sarà difficile da implementare perché purtroppo Milei non ha la maggioranza all’interno del Congresso argentino. Quindi dovrà utilizzare tante alleanze, e speriamo che l’intesa con la coalizione di centro-destra guidata da Patricia Bullrich, che è appartiene all’area dell’ex-presidente Mauricio Macri, possa creare una forte alleanza riformista per cercare di portare avanti almeno i punti principali delle riforme che ha annunciato».
Quali sono i punti più qualificanti di questo programma?
«Apertura del mercato argentino al mondo, eliminazione delle barriere commerciali, deregulation, riduzione possibilmente delle tasse. Milei ha promesso di non aumentarle e avrebbe fatto il possibile per ridurle. Poi dopo, ovviamente, la dollarizzazione. Devo dire che la cosa fondamentale è che per la prima volta un politico argentino ha firmato un patto sulle tasse, come dicevo prima pubblicamente. E questa è una cosa che ha cambiato proprio l’idea stessa della politica in Argentina».
Può riuscire la dollarizzazione? In effetti lo hanno fatto altri Paesi, a partire dall'Ecuador nel 2000...
«La dollarizzazione è un passaggio fondamentale, nelle promesse e nelle riforme dell’economia argentina. Sicuramente è buona per il business, e sicuramente incoraggerà gli argentini a depositare i propri soldi nel sistema bancario, e sicuramente dovrebbe facilitare anche maggiori investimenti stranieri, perché la dollarizzazione crea stabilità finanziaria. Quindi segnerebbe la fine di questa vecchia politica di finanziare deficit attraverso la moneta, attraverso le politiche socialiste e antiliberali che sono state adottate fino adesso dalla Banca Centrale argentina. Quindi sicuramente è un grande incoraggiamento a una maggiore disciplina fiscale che oggi come oggi può portare sicuramente a ridurre l’inflazione, che ripetiamo è al 150%. Certo, abbiamo il caso dell’Ecuador, che è stato un caso di grande successo».
C'è qualcosa di sbagliato nel modo in cui Milei sta venendo percepito nei media internazionali?
«I media internazionali purtroppo sono sempre soggetti a questo grande vizio antiliberale. Tutti i politici che professano di abbracciare politiche liberali di libero mercato sono vittime di una discriminante ideologica. Sicuramente Milei più che un Trump o un Bolsonaro, come molti o hanno definito, io lo vedo come un Ron Paul argentino. Un presidente pro life, un presidente che vuole portare il Paese fuori da questo baratro socialista e peronista e kirchnerista, e riportarlo ad una normalità economica grazie appunto alle aperture. Quindi c’è tutto, c’è tanta speranza, purtroppo i media internazionali non vedono e non analizzano le idee di Milei come dovrebbero essere analizzate da un punto di vista liberale. C’è sempre questo pregiudizio che fa strizzare l’occhiolino al politico di sinistra latinoamericano. Questa voglia di tropicalizzare la politica senza vedere che il Paese Argentina se oggi si trova in queste condizioni è proprio perché politici come Sergio Massa, come i vari presidenti Néstor Kirchner, Cristina Kirchner, Fernández, tanti altri peronisti, hanno sistematicamente implementato politiche per distruggere l’economia. Ripetiamo, il 40% degli argentini vive sotto la soglia di povertà, e il 57% di loro sono bambini».