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I compagni collaborano e poi ti ingiuriano

di Daniele Capezzone venerdì 24 novembre 2023

3' di lettura

«Collaboriamo, brutti fascisti». Se non parlassimo di cose maledettamente serie, verrebbe quasi voglia di scherzare e di riassumere così la pazzotica linea nei confronti del governo tenuta dal Pd e dalla sinistra (politica e mediatica), purtroppo con eccezioni più rare di un quadrifoglio, in materia di contrasto al femminicidio.

Nemmeno a giorni alterni, ma addirittura nell’arco della stessa giornata, si manifestano infatti - intrecciati come legni di vimini- due orientamenti comunicativi opposti gestiti sempre dal Nazareno e dalla stampa di riferimento (cioè quasi tutta): da un lato, dichiarazioni di disponibilità alla collaborazione con l’esecutivo; dall’altro, selvagge e reiterate accuse di patriarcato-maschilismo-machismo rivolte contro la destra.

A qualunque individuo ragionevole, la cosa appare immediatamente per ciò che è: un mix di schizofrenia politica e di cinica strumentalizzazione di qualunque tragedia. Ma a ben vedere c’è qualcosa di meno grossolano e più insidioso: e si tratta di una tattica rispetto alla quale non poche testate si rendono disponibili a fare da zelante sponda alla narrazione dem. E qual è l’obiettivo? Per un verso, mostrarsi in apparenza disposti a un minimo di unità nazionale su questa materia, dando l’illusione all’opinione pubblica di centrodestra di una sorta di “cessate il fuoco”; per altro verso, continuare a dare in pasto all’opinione pubblica di sinistra un’immagine mostrificata e inquietante degli avversari, a cui deve essere negata non dico un po’ di legittimazione politica, ma perfino un elementare requisito preliminare di accettabilità umana.

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RESPONSABILITÀ MORALE

E invece no: non si contano più i tentativi obliqui e scivolosi di addossare alla destra non si sa quale responsabilità morale, come se Filippo Turetta fosse il prodotto ultimo (più o meno inconsapevole) di un’atmosfera creata dagli avversari della sinistra. Il che- come si sa- è due volte indecente: in primo luogo, perché i governi e le maggioranze di sinistra (con tanto di golden share Pd) non hanno fatto nulla in dieci anni sul tema; e in secondo luogo, perché è paradossale che l’accusa di “patriarcato” raggiunga punte parossistiche proprio contro il primo governo guidato da una donna, e per giunta contro l’esecutivo che ha voluto un irrobustimento delle norme su questa delicata materia.


Ma alla sinistra politica ed editoriale questi “dettagli” non interessano: mai guastare la loro narrazione con brandelli di realtà. E quindi - tra capriole concettuali e acrobazie verbali - abbiamo letto di tutto: l’intercambiabilità tra le vecchie accuse di “fascismo” e le nuove di “patriarcato”, e perfino surreali escogitazioni retoriche per spiegare come una leadership femminile sia compatibile con un approccio anti-donne. Al riguardo, resta indimenticabile - non si può usare altro termine - la “supercazzola” usata mesi fa, al suo esordio, da Elly Schlein in persona per polemizzare con la Meloni: sostenendo, sintetizzo con parole mie, che, con la storia dell’articolo “il” invece che “la” usato prima del sostantivo “presidente”, quella di Meloni era «una leadership femminile ma non femminista», che «non intende mettere in discussione il sistema di potere e la cultura patriarcale che permea la società». A questo punto, delle persone normali avrebbero richiesto l’intervento immediato di robusti infermieri: il grosso dei commentatori italiani si è invece consumato le mani per gli applausi.

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GIOCO SPORCO E PERICOLOSO

Mesi dopo, siamo ancora lì: il martedì si insulta, il mercoledì si vota insieme in Parlamento, il giovedì si insulta di nuovo, il venerdì non si sa ancora, e il sabato si manifesta in piazza - di fatto - contro il governo. Resta quindi un retrogusto amaro: fateci caso, da giorni l’immagine della povera Giulia, sui media principali, appare sempre più sfocata e in lontananza. La stanno via via facendo sfumare, la allontanano dal centro della scena. In primo piano deve esserci altro, e cioè la consueta lavagna divisa tra “buoni” e “cattivi”. È il solito schema della strumentalizzazione e dell’uso politico di tutto, anche di una povera ragazza massacrata da un assassino: per demonizzare gli uni (la destra “indifferente” o “negazionista” o “patriarcale”) e per mobilitare gli altri (la sinistra “sensibile” e “caring”), regalando a questo secondo fronte un’ennesima e autoconsolatoria patente di superiorità etica. È un gioco sporco e pericoloso, che va svelato e denunciato. La società italiana - tutta - si è commossa per Giulia e si è indignata contro Filippo. Non c’è nessuna ragione perché qualcuno tenti di saltare politicamente su questo dramma per tentare di ricavarne un miserabile dividendo politico e di comunicazione. Gli avvelenatori di pozzi si prendano un turno di pausa.

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