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Putin passa alle beffe: chi cede è perduto

di Daniele Capezzone lunedì 11 dicembre 2023

 Vladimir Putin

4' di lettura

In un fazzoletto di giorni – e non si è certo trattato di una casualità – sono venuti da Mosca ben tre segnali di scoperta tracotanza. Dapprima Vladimir Putin (e tutto fa pensare che fosse proprio lui, non un sosia) si è recato in visita in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi, mostrando la sua centralità anche rispetto al mercato mondiale del petrolio, oltre che la sua capacità di interloquire con potenze autoritarie che hanno a loro volta rapporti anche con l’Occidente. Attenzione: per molto tempo Putin non aveva varcato i confini russi, e non tanto per timore di un mandato di arresto internazionale, quanto forse per evidenti ragioni di sicurezza personale.

Poi – secondo segnale – ieri è stata resa nota sia da Gerusalemme che da Mosca la notizia di una telefonata di 50 minuti tra Pu tin stesso e Benjamin Netanyahu, comprensibilmente irritato per le continue dichiarazioni anti -israeliane di esponenti russi. Nella versione della telefonata raccontata da Mosca, è arrivata un’autentica beffa: secondo il Cremlino, Putin avrebbe condannato «il terrorismo in tutte le sue manifestazioni», ma allo stesso tempo avrebbe aggiunto che «è importante che la lotta alle minacce terroristiche non porti a conseguenze tanto disastrose per i civili».

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E ancora – riferisce sempre il Cremlino – non sarebbero mancati altri passaggi sulla «situazione umanitaria catastrofica» a Gaza, e sulla disponibilità russa a «fornire tutta l’assistenza possibile per alleviare le sofferenze dei civili». E qui il lettore comprenderà che siamo davanti a una tragica farsa: a preoccuparsi per i civili (palestinesi) è l’uomo che ha impostato tutta la guerra di aggressione contro Kiev come una costante-sistematica-pianificata punizione dei civili (ucraini). Sarebbe fin troppo facile evocare gli eccidi nella città-martire di Mariupol o altri episodi incancellabili nella nostra memoria. Ma tutta l’operazione militare è stata concepita colpendo caseggiati, condomini, teatri, ospedali, con i civili resi sempre bersaglio degli attacchi russi. Il terzo segnale di hybris russa è giunto ancora ieri attraverso altre dichiarazioni del ministro degli Esteri Sergey Lavrov: «Il dominio dell’Occidente, durato 500 anni, sta per finire», ha sentenziato.

Sommando i tre episodi, è fin troppo facile trarre una conclusione politica. Non solo appaiono lontanissimi i giorni in cui l’autocrazia putiniana sembrava vacillare (si pensi alla marcia della Brigata Wagner di Evgeny Prigozhin fermata, dopo una opaca trattativa, a duecento chilometri da Mosca). Ma ormai – quel che più conta – appare chiaro che la controffensiva ucraina è in pieno stallo, che Mosca è stata fiaccata ma non piegata dal mix di isolamento e sanzioni, e che oggi Putin intende sfacciatamente far pesare su ogni tavolo la sua posizione di forza.

EFFETTO KABUL

Ora, questo giornale non ha lesinato critiche rispetto a molte linee di politica internazionale di Joe Biden: è un fatto che molto probabilmente siano state proprio le modalita umilianti e precipitose della fuga occidentale dall’Afghanistan, a Ferragosto del 2021, ad incoraggiare Putin, mesi dopo, a tentare l’avventura in Ucraina. Ancora: è assai probabile (altro errore drammatico) che l’attuale amministrazione Usa si sia illusa di potersela cavare rispetto a Kiev facendo il minimo indispensabile, cioe troppo poco, in termini di aiuto agli ucraini.

Ma ora – considerando anche le scelte dei parlamentari repubblicani americani, e, su un altro piano, la solita totale inconsistenza europea – non si può nascondere il timore di un nuovo “Afghanistan” accettato da tutti (non solo da Biden), e cioè una improvvisa smobilitazione moralmente già avvenuta e materialmente in procinto di concretizzarsi che finirebbe per sancire una sostanziale vittoria russa. Per carità: nessuno può sentirsi di sostenere una prospettiva di guerra infinita e indefinita, ed è evidente (lo era da tempo: Libero ne ha scritto più volte) l’esigenza di una exit strategy, la necessità di tirare una linea. Ma c’è modo e modo di farlo: premiare l’aggressione russa, consentendo a Mosca di tenersi i bocconi di territorio sottratti a Kiev, e non dare all’Ucraina né una prospettiva Nato né una prospettiva Ue, significa consegnare al mondo un solo messaggio: che non solo l’Occidente sta perdendo una guerra, ma che è disposto a mettere in discussione l’intero ordine post-1945.

Le democrazie occidentali sono dunque chiamate a una scossa, hanno il dovere di non rassegnarsi, di ritrovare l’orgoglio per i valori che dovrebbero animarle, e al tempo stesso (realisticamente) di guardare negli occhi una realta cupa, la malattia che ci ha colpito. Occorre saperlo. Se la Russia sarà ingiustamente premiata, anche un’eventuale “pace” sara solo l’equivalente di una pausa tecnica. Verrebbe da dire che l’assai evocato rischio di escalation diverrebbe una prospettiva realistica – anche se differita nel tempo – proprio nel caso di un esito del conflitto in qualche modo rivendicabile dai russi come un successo. Un conto è una pace negoziata su basi ragionevoli (e anche l’opinione pubblica ucraina va preparata con realismo a questa prospettiva); altro conto sarebbe una “cattiva pace”, cioè una resa alle condizioni imposte dal Cremlino.

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INGORDIGIA

In quel caso, esattamente come ha fatto dal 2008 a oggi, Putin potrebbe decidere di alternare momenti di stasi a nuove offensive, mirando – in futuro – a chissa quali altri obiettivi: magari Odessa, per togliere all’Ucraina uno sbocco al mare; o magari la Moldavia. In modo freddamente fattuale, giova ricordare che la Moldavia non e membro della Nato (dunque non gode di quell’ombrello militare), e di fatto e come se non avesse difesa propria (ha un esercito di pochissime migliaia di effettivi, con armi vetuste di epoca sovietica). Di piu: c’e un complicato e discusso territorio, la Transnistria, con connotazioni separatiste e filorusse, che – al minimo incidente, e le avvisaglie non mancano – potrebbe trasformarsi in una sorta di “Donbass moldavo”, a somiglianza dello schema che abbiamo ben conosciuto in Ucraina. Senza dire del segnale che tutte le autocrazie del mondo (Cina in testa: con l’obiettivo mai cancellato di aggredire Taiwan) riceverebbero e comprenderebbero: un sostanziale “via libera” per nuove incursioni e avventure contro la libertà.

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