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Aldous Huxley, il suo futuro visionario è diventato presente

di Francesco Specchia mercoledì 20 dicembre 2023

3' di lettura

Prendete Antonio Gramsci, ficcategli intesta la cosmogonia di Jules Verne, imbottitelo di mescalina e fatelo sognare. Per essere uno dei «pilastri del secolo breve», Aldous Huxley, romanziere, saggista, scrittore da viaggio, sceneggiatore per Walt Disney, è stato un lampo intellettuale fra le due guerre mondiali del secolo scorso e i mille futuri del secolo a venire.

Chi leggesse - armato di pazienza e passione - l’interessante biografia di Mario A. Iannaccone, Aldous Huxley Profeta del “Mondo nuovo” (edizioni Ares, 564 pp, 25 euro) si troverebbe oggi scaraventato in un futuro già descritto novant’anni fa dalle visioni dello scrittore inglese. Il quale - secondo Iannaconeaveva «anticipato e prefigurato nei romanzi e nei saggi molte tendenze culturali e sociali che la nostra società avrebbe poi palesato e con cui facciamo i conti ai nostri giorni: la tecnologia senza etica, lo strapotere delle multinazionali, lo svuotamento degli Stati nazionali, l’avanzamento del nazionalismo (leggi: Cina), il decadimento delle democrazie, le armi come motore dell’economia, l’olocausto nucleare, la crisi ecologica, la dittatura mediatica».


Huxley, «più ospite che protagonista del suo tempo» era uno dei cantori di una generazione di scrittori perduti. da D.H. Lawrence a Siegried Sassoon, da Evelyn Waugh al gruppo Bloomsbury - le “foglie secche” di un suo omonimo romanzo- gente che battuteggiava oziosamente di politica e letteratura in antichi salotti di nobiltà decadute.

SGUARDI IMMAGINIFICI

Erede di una dinastia giornalistico -letteraria, Huxley passò indenne da Eton e Oxford, per poi essere riformato per la perdita progressiva della vista che gli concesse però un “terzo occhio” pacifista utile ad avvicinarlo in tarda età allo sciamanesimo e alle discipline meditative. Non so se Huxley, fervente cattolico almeno fino a un certo punto della sua vita, fosse di destra. Ma le sue distopie, i suoi viaggi per il mondo (da cui trasse il gettonato Tutto il mondo è paese) e i suoi sguardi immaginifici sul futuro ricordano assai le lezioni dei conservatorissimi C.S. Lewis e di George Orwell, di cui peraltro egli fu maestro.

Ma le sue finestre sul futuro saranno aperte con la pubblicazione di Brave New World-Il mondo nuovo pubblicato in Italia nel 1933. Un romanzone dove, in un futuro lontano - il 2040, neanche troppo - la società gira intorno ai principi di «Comunità, identità, stabilità». Dove la popolazione è suddivisa rigidamente in classi (dalle più elevate: Alfa, Beta, Gamma alle “inferiori”: Epsilon, Zeta) e l’appartenenza di ciascun individuo all’una o all’altra viene prestabilita fino dal momento del concepimento rigorosamente in provetta.

Mediante la regolazione dell’ossigeno (la manipolazione del Dna) viene predeterminato il livello di intelligenza e di capacità del nascituro che in tal modo va ad occupare il ruolo sociale a lui destinato senza che possano verificarsi conflitti sociali: ognuno nasce già selezionato per il compito che dovrà svolgere. Nel Mondo nuovo emergono anche il tema della riproduzione umana oramai extrauterina (leggi: utero in affitto) basata su centri di incubazione e degli esseri umani sempre giovani almeno fino a 60 anni (poi deperiscono e muoiono); e quello dell’attività sessuale libera che travalica i generi (ah, la Legge Zan...); e quello della «sorveglianza e soppressione« poliziesca che anticipa le violazioni della privacy. Ricorre perfino il tema della distruzione dei monumenti storici, a ricordare in modo impressionante l’incubo a venire della cancel culture. Noi mondi di Huxley l’attività sessuale è libera, incoraggiata fin dalla più tenera età, è vietata la monogamia («ognuno appartiene a tutti gli altri»); le droghe vengono somministrate come caramelle e dalle visioni da esse derivate, come scrive nell’altro suo titolo immortale, Le porte della percezione, si aprono «gli antipodi della mente», ossia un’idea perlomeno insana di Dio.

TORNATO DI MODA

Huxley fu un visionario invincibile. Prima di morire per un cancro alla lingua soffrì il destino più atroce per un intellettuale: l’incendio della sua casa zeppa di libri documenti e ricordi. Per Iannaccone si tratta quasi di una «metafora del suo percorso esistenziale». Che, in un immenso giro del fumo, lo riporta a nuova fama: «Quasi passato di moda negli anni Cinquanta, sfiduciato anche per i problemi fisici - ipovedente, sofferente ai bronchi, depresso -, rafforza la sua denuncia sui pericoli degli Stati forti: il militarismo, la manipolazione delle opinioni pubbliche, la pianificazione economica, la scienza non disciplinata, e per questi richiami torna a essere ascoltato dalle nuove generazioni». 

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