L’accordo sul nuovo Patto di stabilità raggiunto ieri sera dai Paesi Ue, che sostanzialmente accoglie molte delle richieste fatte dal governo italiano mette in evidenza un fatto di non poco conto: se vai in Europa col cappello in mano non porti a casa nulla; al contrario se ci vai facendo rispettosamente valere le tue ragioni trovi interlocutori disposti ad ascoltarti e ad assecondarti. Questa, a ben vedere, è anche la principale differenza tra i governi di centrosinistra che ci hanno condannato alla famigerata “austerità” e quello di centrodestra che ha portato a casa un Patto di stabilità «più realistico», come l’ha definito Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e uomo di raccordo con gli altri governi europei. È stato lui nelle scorse settimane a tenere duro nelle trattative e a non cedere alle pressioni che arrivavano da mezza Europa ed è stato lui, previo accordo col governo, a sbloccare l’accordo finale dando il via libera alle nuove regole.
«Ci sono norme più realistiche di quelle attualmente in vigore- spiega Giorgetti uscendo dalla riunione dell’Ecofin -. Abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo Patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi». Anche per questo «le nuove regole dovranno sottostare alla prova degli eventi dei prossimi anni che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo.
Consideriamo positiva- prosegue il ministro dell’Economia il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027».
LE REAZIONI
Da Bruxelles arrivano anche le parole soddisfatte del governo spagnolo che detiene la presidenza dell’Ue: «L’accordo raggiunto fissa nuove regole realistiche, equilibrate, adatte alle sfide presenti e future». E di «Patto più realistico ed efficace» parlano anche i tedeschi.
In Italia i primi a congratularsi con Giorgetti sono i leghisti che esultano al grido di «niente più austerity: la riduzione del debito sarà realistica e graduale». Sul fronte di Fdi parla il capodelegazione all’europarlamento Carlo Fidanza: «si tratta certamente di un successo del governo Meloni e della sua capacità negoziale». Il vicepremier di Fi, Antonio Tajani, lascia il suo commento su “X”: «Bene l’accordo dell’Ecofin. Accolte molte proposte italiane. Finalmente il Patto di stabilità diventa il Patto di stabilità e crescita. Si conclude la stagione del rigore».
In serata arriva anche la nota di Palazzo Chigi che parla di «importante compromesso di buonsenso», che giudica «migliorativo rispetto alle condizioni del passato. Regole meno rigide e più realistiche che scongiurano il rischio del ritorno automatico ai precedenti parametri che sarebbero stati insostenibili per molti Stati». La Meloni, infine si rammarica per la «mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall’equilibrio di deficit e debito da rispettare», ma assicura che questa è «una battaglia che l’Italia intende continuare a portare avanti».
Che l’accordo sulle nuove regole sia positivo per l’Italia è testimoniato anche dal consueto cortocircuito interno al Pd. Se la segretaria Elly Schlein parla di «una destra che frena l’Italia in Europa e abbassa la testa davanti a Francia e Germania», ci pensa il Commissario Europeo Paolo Gentiloni a smentirla, definendo l’accordo «una buona notizia» e riconoscendo al governo italiano di aver «contribuito in maniera rilevante, direi decisiva, soprattutto nell’ultimissima fase insieme alla Francia e alla Germania a raggiungere questa intesa». Insomma l’esatto contrario di quanto sostenuto dalla sua segretaria.
LE NUOVE REGOLE
Il Patto di stabilità riformato permetterà di tenere sotto controllo e in ordine i conti pubblici permettendo le spese per le transizioni verde e digitale. Fondamentale, per il via libera unanime, la clausola transitoria cara all’Italia che tiene conto dell’aumento del costo degli interessi sul ripagamento dei titoli di debito pubblico a seguito dell’aumento dei tassi operato dalla Bce. Stabilito che fino al 2027 le regole di bilancio comuni saranno applicate con flessibilità, con la Commissione che terrà conto del maggior onere dovuto all’aumento dei tassi senza così incidere sui margini di spesa. Il testo finale, poi, prevede che siano salvaguardati gli investimenti verdi, digitali e la spesa per la difesa. Ma chiede anche traiettorie di riduzione degli squilibri macro-economici chiare e vincolanti. I Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1%, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60% e il 90% dovranno tagliarlo di uno 0,5% l’anno. Resta ferma la possibilità di chiedere un aggiustamento non di quattro anni ma di sette. In questo caso, per i Paesi membri con un deficit superiore al 3% in rapporto al prodotto interno lordo, il percorso di riduzione cambierà: 0,4% nel primo caso (piano a quattro anni), 0,25% nel secondo caso. Previsto inoltre un margine di bilancio pari all’1,5% del Pil sotto il 3%, così da costruire una “riserva” di spesa in momenti di crisi senza mettere a soqquadro i conti.