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Mario Sechi: a questa Europa serve un nuovo inizio

di Mario Sechi giovedì 21 dicembre 2023

5' di lettura

L’Italia ha dato il via libera al nuovo Patto di Stabilità, Giorgia Meloni saluta il «compromesso di buon senso», per Giancarlo Giorgetti «l’Italia ha ottenuto molto». Ci sono ottimi motivi per dirlo, perché i tempi di riduzione del debito sono più sostenibili e sugli investimenti abbiamo buone carte da giocare. Nessun dramma, nessun boato, un lavoro ben fatto. Il negoziato si è svolto secondo le regole della diplomazia, nessuna sorpresa: l’Ecofin è prima di tutto una scuola di realismo, i ministri sanno fin dove possono arrivare e quando è il momento di chiudere la partita perché si rischia di perdere quel poco o tanto che si è guadagnato.

L’Unione europea volta pagina rispetto alla sospensione delle regole (e anche della realtà) dettata dall’emergenza pandemica, dà un segnale di fiducia e stabilità ai mercati finanziari, a chi compra e vende il debito sovrano, compreso quello dell’Italia che ha un grande successo tra gli investitori, non bisogna mai dimenticarlo.

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Fin qui, tutto bene. Cosa manca? Il non detto, che comincia da una domanda: a cosa serve l’Unione europea? Azzardo una sintesi: serve ad assicurare pace e benessere ai popoli delle nazioni che ne fanno parte. Il compito è stato assolto? La pace è stata garantita dal 1945 a oggi dalla presenza del forum di cooperazione Ue (che ha attutito i dissidi interni), ma soprattutto dalla Nato e dall’ombrello della difesa degli Stati Uniti; il benessere è arrivato con una lunga fase di sviluppo lanciata dal Piano Marshall, dalla ricostruzione sulle macerie della guerra, dalla stagione del boom e dalla crescita esponenziale della manifattura e dei consumi, dall’industrializzazione dell’agricoltura e dalla crescita demografica, dai progressi della medicina e dall’allungamento delle propettive di vita. Questo è il mondo che abbiamo conosciuto fino alla fine del Novecento. Ma oggi?

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La pace in Europa è finita sul fianco orientale quando gli Stati Uniti hanno sottovalutato la questione Ucraina, il riarmo di Mosca e letto con scarsa attenzione le parole di Putin sui territori russofoni fin dal 2014 (Conferenza di Monaco sulla sicurezza). Lo stesso distacco mostrato nei confronti della Corea del Nord e di Taiwan, cortocircuiti non “riparati” ieri che oggi sono praticamente intoccabili senza rischiare una guerra tra Washington e Pechino. Con il ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan (2021) per modo e tempo, un disastroso ordine di Joe Biden- la Russia e la Cina hanno avuto il segnale che attendevano: l’America non vuole più mandare i suoi figli a combattere all’estero e si ritira nella sua Fortezza. Il mondo in pochi anni è diventato più instabile e più pericoloso.

E il benessere? Ha cominciato a erodersi quando la stabilità degli anni Novanta si è consumata sotto i colpi di una serie di shock: l’attentato alle Torri Gemelle (2001); due guerre nell’area del Grande Medio Oriente (Afghanistan, 2001 e Iraq 2003); la crisi americana dei mutui subprime (2007-2008) che si è abbattuta sul debito sovrano europeo; l’elezione di Xi Jinping in Cina (2008); la Brexit (2016); la vittoria di Donald Trump e lo scontro tra “le due Americhe” (2016); la fine del Partito socialista in Francia e l’arrivo di Emmanuel Macron all’Eliseo (2017); il virus di Wuhan e la pandemia (2020); l’invasione della Russia in Ucraina (2022); l’assalto di Hamas a Israele e la guerra a Gaza (2023), il blocco del Canale di Suez e il cambio di rotta del commercio mondiale verso il Capo di Buona Speranza (2023). Sono i pezzi di una scacchiera rovente, lo scontro tra le grandi potenze è ripreso. E nessuno sa cosa vuole fare l’Unione europea di fronte a questo scenario. Il problema, come si vede, non è il Patto di stabilità, una cosa minima rispetto alla dimensione dei problemi che abbiamo davanti.

Come scrisse John Ikenberry nel 2011 su Foreign Affairs, «non ci sono più dubbi: la ricchezza e il potere si stanno spostando dal Nord e dall’Ovest verso l’Est e il Sud, e il vecchio ordine dominato dagli Stati Uniti e dall’Europa sta cedendo il passo a uno sempre più condiviso con gli Stati emergenti non occidentali». Dodici anni dopo, siamo allo scontro tra gli Stati Uniti, l’Europa e «il resto del mondo» per un nuovo ordine.

Quale? Anche qui non abbiamo risposte da Bruxelles, manca un disegno complessivo, una proposta nuova, necessaria perché il mondo è cambiato profondamente. Dopo il 1945, gli Stati Uniti, la superpotenza vincitrice, pensarono (a ragione) di creare delle nuove istituzioni intergovernative per controllare le relazioni internazionali. Così in un periodo di eccezionale energia creativa, tra il 1944 e il 1951, gli Stati Uniti aprirono la strada per la costruzione degli accordi di Bretton Woods, delle Nazioni Unite, della Nato, del trattato di sicurezza tra Giappone e America e altre alleanze in Asia. Improvvisamente, come in un libro di Ken Follett, siamo alla Caduta dei giganti.

Quest’ordine stanco e asincrono rispetto alla Storia è andato avanti per inerzia, anche dopo il crollo del Muro di Berlino, perché nessuno aveva immaginato un risveglio dell’Orso russo e uno sviluppo del capitalismo in Cina senza un cambio del regime di Pechino. A sua volta l’Unione europea ha camminato sull’asse tra Parigi e Berlino, con Londra che assumeva una funzione di contrappeso. Questo equilibrio è saltato con la Brexit, ma per qualche anno si è andati avanti cercando di rinforzare un patto tra Francia e Germania che non corrispondeva più al calendario della Storia. Con la fine delle alchimie dei governi italiani fatti a tavolino (negli ultimi dieci anni quasi sempre con il partito sconfitto, il Pd) e l’arrivo a Palazzo Chigi dopo 15 anni (non accadeva dal 2008, governo Berlusconi) di un esecutivo politico figlio di una chiara vittoria nel voto, è cominciata una nuova fase anche per l’Europa. Siamo solo al nuovo inizio, ma il via libera al Patto di stabilità e le nuove regole sull’immigrazione, sono un segnale.

Eppur si muove, in maniera timida, spesso contraddittoria. L’Europa cerca un’identità e non può trovarla con i vecchi schemi della politica brussellese. Che fare? Sono i grandi politici che salgono sul carro alato della storia, non altri. Va bene il Patto, ma non bisogna illudersi: chi punta alle regole e non vede la vastità del campo da gioco e la forza degli avversari non dura. Giorgia Meloni è il leader più giovane (insieme a Emmanuel Macron) tra i capi di governo dell’Unione europea, ha una prospettiva che va oltre la legislatura, la possibilità di forgiare un nuovo partito conservatore, una grande opportunità e una responsabilità: provare a dare all’Europa un respiro che non ha. 

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