Parlano tutti di Superlega. Ci sta. Che ne sarà del nostro calcio? Chiunque ha una risposta pronta all’uso ma, di fatto, trattasi di ipotesi buttate là del genere «io dico la mia, tanto tra due minuti si son scordati tutti». Cosa abbiamo scritto ieri? Boh, chi se lo ricorda. Certezze? Nessuna. Anzi, una: in attesa di capire se la sentenza dell’altro giorno certificherà la vittoria dei “superleghisti”, sappiamo che a godere sono soprattutto i club. Tutti. E il motivo è semplice.
Se fino all’altro giorno qualunque decisione era imposta dall’alto (leggi “Uefa”) e alle squadre non restava che ubbidire in silenzio, ora queste ultime avranno diritto di negoziare come meglio credono. Stop al Palazzo che si pappa la torta e lascia le briciole ai club, stop ai colossi del pallone che dettano legge anche quando si tratta di Nazionali (convocano i “tuoi” ragazzi, te li restituiscono rotti o mezzi rotti, paghi fior di stipendi e subisci silenzio), tocca trattare, spartire, scendere a patti.
AVVISO AI NAVIGANTI
I comunicati di questi giorni di grande e quasi totale solidarietà nei confronti del sciur Ceferin (cotanto numero 1 dell’Uefa stessa) sono certamente un attestato di enorme solidarietà verso il “vecchio” e un segnale di diffidenza verso “il nuovo”, ma sono anche un silente “avviso ai naviganti”, una cosa del tipo: «Noi stiamo con te, ma è il caso che tu ora ci venga incontro perché abbiamo una sontuosa opzione B che ci attende per coprirci di palanche».
Poi tocca capire cosa c’è dietro il nuovo format, per come ce l’hanno presentato. Si parla di una struttura piramidale a 64 squadre con tre livelli (Star - Gold - Blue) “aperta” o, per meglio dire, “semi-aperta”. Cioè, a differenza di come era stata presentata nell’aprile del 2021 sono contemplate promozioni e retrocessioni, ma è anche vero che una squadra per così dire “normale” non potrà mai ambire all’élite del livello “Star” se non attraverso la sequenza “vittoria del campionato, promozione da Blue a Gold e da Gold a Star”: praticamente impossibile. Per il resto in Paradiso ci saranno le “grandi elette” a tavolino, cosa che fa storcere il naso a molti per una questione di meriti di campo destinati a diventare de cisamente secondari.
Ecco, in attesa di comprendere che piega prenderà tutta la faccenda - ci vorranno anni per arrivare alla struttura Star-Gold-Blue, ma già nelle prossime stagioni è presumibile che prendano vita ricchissimi tornei “ad invito” piazzati qua e là in mezzo al calendario - tocca concentrarsi su altro, su una questione noiosissima eppure fondamentale che ha un nome (“Decreto”) e un cognome (“Crescita”).
IL DECRETO
A partire dall’1 gennaio 2024 la legge che consentiva alle società di acchiappare giocatori di prima fascia dall’estero grazie a un regime fiscale agevolato, finirà in soffitta. Molti dicono «Giusto così, che vergogna questi maledetti ricchi del calcio!». E la verità è che sì, certi ingaggi mostruosi concessi a mestieranti e mezze pippe non hanno alcun senso, ma è altrettanto vero che il nostro “sistema calcio” privato di siffatto stratagemma crollerà in maniera verticale quanto a qualità e appeal. Scordiamoci giocatori come Lukaku o Pavard, scordiamoci le stelle, scordiamoci di poter competere con tornei dove il grano gira a iosa e i diritti tv valgono miliardi. In attesa di confronti e tentativi di arrivare a un accordo di qualche genere, le società stanno già preparando i loro piani B, quelli che contemplano tagli dei giocatori più costosi e relativo addio ai sogni di gloria. Morale: si parla tanto di Superlega e va benissimo, ma senza “decreto crescita” il mondo del calcio italiano finirà nel sottoscala prima ancora che la stessa Superlega prenda forma.