Nella società del pensiero debole, abbiamo premiato le idee forti. Nella confusione dei ruoli, abbiamo messo l’accento su “homo”, l’essere umano. Nella tracimazione delle diversità, abbiamo ribaltato il genere. Nel tempo di guerra, abbiamo scelto chi ha dimostrato di saper combattere.
Giorgia Meloni per Libero è “uomo dell’anno” perché prima di tutto ha cancellato la guerra dei sessi vincendola, pensando differente, essendo divergente, superando la boria dei maschi e lo sconfittismo delle femmine. Non ha rotto il tetto di cristallo, lo ha dissolto.
Il debutto di Meloni, capo del governo e leader di partito, è stato tra il ferro e il fuoco: due guerre, un cambio di scenario dietro l’altro, shock geopolitici multipli, un’Europa da rifare e un ordine mondiale da inventare. In mezzo a tante leadership traballanti, quella di Meloni è solida, attesa dalla prova della longue durée, il tempo lungo del governo, dove goccia dopo goccia scorrono i giorni, i mesi, gli anni, segnati dalle ascese e dalle cadute. È il calendario della storia, il luogo dove si misurano solo le rare figure degli statisti. Ce la farà? È questione di durata, esperienza e machiavellica Fortuna. È presto per dire cosa accadrà alla biografia, quale sarà la parabola, ha rimesso il timone della nazione a Occidente, è un ottimo inizio.
Meloni ha proiettato gli avversari in una dimensione di eterno rosicamento, schiumano che è fascista, leader del patriarcato, femmina ma non femminista. Quante chiacchiere, il problema è risolto: Giorgia è uomo dell’anno.