Giancarlo Giorgetti
Pannicelli caldi, mancette inutili, famiglie lasciate a bocca asciutta? Ecco, la fotografia scattata ieri dall’Istat sembra descrivere uno scenario un po’ diverso. Piaccia o no, la formula meno tasse, più soldi in tasca ai contribuenti e più consumi non ha tradito neanche questa volta. E protagonista del lieto fine è proprio quel potere d’acquisto che da mesi è sulla bocca di tutti per denunciare l’incapacità del governo di intervenire in soccorso delle fasce più deboli, che come sanno anche i bambini sono quelle più colpite dalle dinamiche inflattive.
Sentite qua: nel terzo trimestre del 2023, sì, proprio quello in cui sono scattati gli aumenti in busta paga provocati dal sostanziale raddoppio del taglio del cuneo fiscale inizialmente disposto da Draghi, il reddito disponibile lordo delle famiglie è aumentato dell’1,8%. Se a questo sottraiamo l’aumento dei prezzi, che nello stesso periodo è stato dello 0,5%, ecco che ci troviamo il numerino tanto atteso: il potere d’acquisto è salito dell’1,3%. E, a cascata, la spesa per i consumi finali è cresciuta dell’1,2%.
MENO TASSE
La solita bufala filogovernativa? A mettere in correlazione l’intervento fiscale del governo che è costato quasi 5 miliardi nel 2023 e ne costerà 10 nel 2024, non sono esponenti della maggioranza o ministri, che pure (legittimamente) non si sono lasciati sfuggire l’occasione di rivendicare la bontà delle proprie scelte, male associazioni dei consumatori, di solito non tenere con chi sta a Palazzo Chigi. «Dato positivo il rialzo del potere d'acquisto, pur se in parte dovuto al calo dell'inflazione e anche se scende su base annua dello 0,6%», commenta tanto per non fare sconti il presidente dell’Unc, Massimiliano Dona, «che dipende da un aumento del reddito disponibile lordo dell'1,8%, a cui ha certo contribuito il rafforzamento del taglio delle aliquote contributive scattato a partire da luglio 2023». Taglio che, prosegue, «resta il miglior provvedimento finora fatto dal Governo Meloni». Ed è molto probabile che il giudizio si confermerà tale anche sul quarto trimestre, considerate le ottime stime che le associazioni di categoria hanno snocciolato sugli acquisti e i viaggi degli italiani legati alle festività. Quello che né Dona né le opposizioni, che ieri dopo il travaso di bile provocato dal successo della conferenza stampa del premier si sono persino scagliate contro i dati Istat, sostenendo che sono semplici statistiche che non rispecchiano il Paese reale, ammetteranno mai, è che c’è lo zampino del governo anche dietro l’ottimo quadro per l’Italia descritto ieri da Eurostat sull’inflazione.
Certo, da noi era salita più che altrove e a fare la differenza sono stati prezzi dell’energia, schizzati alle stelle e poi precipitati, ma il fatto che a dicembre, rispetto al 4,1% della Francia, al 3,8% della Germania e al rialzo al 2,9% (dal 2,4%) dell’Eurozona, in Italia il carovita si precipitato allo 0,5% dipende anche dalla modulazione degli interventi di sostegno decisi dall’esecutivo, che ha seguito i suggerimenti che arrivavano dalle istituzioni internazionali di limitare gli aiuti ai redditi medio-bassi per evitare di alimentare ulteriori spinte inflazionistiche.
GIÙ I PREZZI
Di chiunque sia il merito, comunque, la buona notizia certificata dall’Istat è che l’inflazione media annua è passata dal l’8,1 del 2022 al 5,7% del 2023. Questo non significa, ovviamente, che siamo fuori dalla bufera, ma che si inizia ad intravedere un po’ di sereno all’orizzonte. L’economia non è ferma, gli italiani hanno po’ di quattrini in più. E anche la finanza pubblica migliora. Sempre l’Istat ieri ha certificato che l’indebitamento migliora (il deficit cala al 5% e il saldo primario - ovvero l'indebitamento al netto degli interessi passivi - è negativo con incidenza sul Pil del -1,2%) e la pressione fiscale diminuisce (dello 0,2% al 41,2%). Non è molto. Ma il declino è fatto differente.