«Una patrimoniale per la crescita» è l’ultimo colpo di genio della professoressa Elsa Fornero. Un po’ come dire: «Più vampiri per la donazione di sangue», oppure «più dolci e più zucchero per i diabetici», o ancora «quaranta sigarette al giorno contro il cancro ai polmoni». Un gigante di un altro secolo, Winston Churchill, ammonì con parole da scolpire nel marmo: «Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico». Ma non ditelo alla Fornero, che sorriderebbe di commiserazione: per voi e per Churchill, c’è da immaginare. Le cose più tragicomiche nella proposta dell’ex ministra sono due. La prima: Fornero insiste in particolare sulla necessità di una patrimoniale immobiliare («visto che il patrimonio finanziario ne è già gravato»). Ah sì? E l’immobiliare invece non sarebbe tassato e stratassato? E indovina quale governo ha quasi triplicato quella specifica imposizione? Proprio il governo di cui la Fornero faceva parte.
Quando nel 2011 Mario Monti e il suo loden arrivarono a Palazzo Chigi, davanti alla missione di trovare subito denaro fresco, i tecnici commisero lo sproposito, avallato da un Parlamento che disse sì senza fiatare, di decidere una stangata fiscale senza precedenti, portando la tassazione immobiliare da 9 a 25 miliardi. Fu una botta terrificante. Da allora, di tutto quel mega -aggravio fiscale, sono stati tolti solo 4 miliardi (quelli dell’Imu prima casa: e, come si sa, neanche su tutte le prime abitazioni). Ma è rimasto tutto il resto: le seconde case sono aggredite da aliquote altissime. Ogni anno i proprietari di case, negozi, uffici, capannoni, subiscono quindi un prelievo di 21 miliardi, che in una decina d’anni ha drenato oltre 200 miliardi di liquidità agli italiani, tagliando di un quarto il valore del patrimonio immobiliare del paese. Da questo punto di vista, come ricorda spesso il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, il paradosso è che si discuta di patrimoniali eventuali e future, per meglio nascondere la devastante patrimoniale che già esiste. Di più: ci si attenderebbe un dibattito serio su come ridurre i 21 miliardi di tassazione rimasta. E invece è ripartito un fuoco di fila che invoca la patrimoniale. Come se la patrimoniale non ci fosse già, e pesantissima!
Troppi – drammaticamente scollegati dalla realtà – dimenticano o fingono di dimenticare che 7 famiglie su 10 hanno investito nel mattone. In una nazione che ha come specificità una proprietà così diffusa, proprio il regime di tassazione sugli immobili fa la differenza. Chi non lo comprende è un costruttore di povertà, un architetto del declino. Ma veniamo alla seconda bizzarria della proposta Fornero. In Italia (purtroppo) non solo c’è solo la patrimoniale immobiliare, come abbiamo appena visto. Ma di patrimoniali, secondo il mio calcolo, ce ne sono almeno altre dieci, e quindi in totale si arriva a undici. Eccole qua: bollo auto; canone radio-tv; diritti catastali; imposta di bollo; imposta di registro e sostitutiva; imposta ipotecaria; imposta sul patrimonio netto delle imprese; imposta su imbarcazioni e aeromobili; imposta su transazioni finanziarie; imposta su successioni e donazioni. Qualche anno fa, a fine 2018, la Cgia di Mestre aveva stimato un gettito di 47,5 miliardi annui, il 2,7% del Pil, il doppio di quanto si era versato nel 1990 (1,3%).
Dove bisogna cercare – allora – esecutori e mandanti di questa persecuzione fiscale? Suggeriremmo quattro piste di indagine. La prima ha a che fare con gli ossessionati dal vincolo esterno, specie in area progressista e tecnocratica. Le prime a bacchettare in tal senso (più tasse, più patrimoniali) sono le periodiche “raccomandazioni” della Commissione Ue, ma non scherzano neppure altre istituzioni, dal Fmi all’Ocse. Ormai non si contano più, e arrivano ogni anno a scadenze regolari, paper in fotocopia che chiedono sempre le stesse cose: riforma del catasto, ripristino della tassazione sulla prima casa, incremento della tassa di successione. È di inizio 2018, per fare un solo esempio, il documento Ocse “The role and design of net wealthtaxes”: nel documento si spiega che le patrimoniali servono a ridurre le diseguaglianze. E c’è del vero: ma nel senso che contribuiscono a impoverire un po’ tutti. La seconda pista di indagine ha a che fare con i tassatori compulsivi della sinistra: la Cgil di Maurizio Landini sul versante sindacale, il M5S, e poi la sinistra-sinistra e il Pd. Resta memorabile il tentativo pro patrimoniale condotto in passato da Nicola Fratoianni e Matteo Orfini.
Per non dire di Enrico Letta, scatenato in particolare a favore dell’aumento della tassa di successione, tema a cui dedicò una campagna forsennata, per quanto priva di successo. Attenzione infine alla terza e alla quarta categoria, che rischiano di avere un radicamento trasversale, con (purtroppo) una qualche rappresentanza non solo a sinistra. La terza è la categoria di quelli che sostengono il mitico spostamento della tassazione “dalle persone alle cose”. Peccato che lo stato italiano – in genere – ricordi bene di incrementare la tassazione “sulle cose”, e curiosamente dimentichi di alleggerire quella “sulle persone”. Memoria intermittente, diciamo così. La quarta categoria è quella di chi continua a sostenere la logica degli investimenti pubblici massicci, della spesa altissima, dei bonus. Naturalmente serve un’analisi differenziata di ciascuna di queste misure: ma – in generale – è oggettivo il fatto che quanto più si insiste affinché la mano pubblica spenda e intervenga, impostando massicci piani dirigisti, tanto più si porta acqua al mulino di chi, a quel punto, avrà buon gioco a voler tenere sempre più alto il livello della tassazione. La strada maestra è opposta: ridurre il ruolo della mano pubblica, abbandonare la logica ultradirigista e assistenzialista, rottamare il sistema dei bonus, e aprire la strada a massicci tagli fiscali.