In quattordici anni la spesa sociale, in particolare quella assistenziale, è raddoppiata. Effetti sulla povertà? Zero. Anzi: i poveri sono quasi triplicati, passando dai 2 milioni e 100mila del 2008 ai 5 milioni e 700 mila registrati nel 2022 dall’Istat. È uno dei dati contenuti nell’undicesimo “Rapporto sul sistema previdenziale”, presentato ieri alla Camera dei deputati dal presidente del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla. «Nel 2008», ha spiegato Brambilla, «noi spendevamo 73 miliardi per la spesa sociale. Nel 2022 sono 157, abbiamo più che raddoppiato la spesa». Ci si sarebbe aspettati una riduzione della povertà. Invece, no.
«Abbiamo avuto l’effetto contrario. Allora chi era in povertà assoluta, e cioè che faceva fatica ad arrivare alla fine del mese, erano 2 milioni e 100mila. Oggi l’ultimo dato Istat parla di 5 milioni e 700 mila. In povertà relativa erano 6 milioni e mezzo e oggi sono 8 milioni e sette. Avere più che triplicato la povertà vuol dire che tutte le attività fatte in assistenza forse non hanno mirato bene all’obiettivo». L'altro dato che emerge, già evidenziato peraltro nei passati rapporti, è che il grosso della spesa del welfare è assistenziale. «Nel 2022», ha spiegato ancora Brambilla, «abbiamo trasferito all’Inps, con la legge di bilancio, 157 miliardi per pensioni sociali, di invalidità e pensioni di cittadinanza». Un dato che si riflette sulla qualità degli assistiti: su 16 milioni e 130mila pensionati, il 41% di questi sono «totalmente o parzialmente assistiti». Si tratta, cioè, di persone che «non sono riusciti nemmeno a versare 15 anni di contributi e quindi anche di imposte». Ergo, i loro assegni gravano interamente sulla fiscalità generale.
IL BOOM DELLE USCITE
In dieci anni la spesa in assistenza è cresciuta del 126%. Mentre è rimasta tutto sommato stabile quella per le pensioni, il 12,97% del Pil, in linea con la media europea. Eppure è una cifra molto distante da quella davvero comunicata a Bruxelles, dal momento che ancora si sommano prestazioni assistenziali e previdenziali, generando confusione e facendo sì che l’Ue richiami l’Italia, invitandola a fare una riforma previdenziale. Mentre, osserva il rapporto, basterebbe dividere le due voci per accorgersi, come ha spiegato Brambilla, che il sistema previdenziale in realtà «è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, quando la maggior parte dei baby-boomer nati dal dopoguerra al 1980 saranno in pensione».
Semmai il problema è intervenire sulla spesa assistenziale. Tanta e inefficace. Per il welfare nel complesso (previdenza, assistenza e sanità) in Italia si sono spesi nel 2022 559,5 miliardi (+6,2% sul 2021), dedicando a questi settori oltre la metà (il 51,65%) della spesa pubblica. Ma se la spesa per il welfare in dieci anni è aumentata del 29,3%, quella previdenziale ha segnato un +17% e quella assistenziale un +126%. Su 16,13 milioni di pensionati nel 2022 oltre 6,55 milioni (il 40,61%) sono totalmente (3,75) o parzialmente (3,88) assistiti. Per pagare sanità, assistenza e welfare degli enti locali, sostiene il rapporto, non bastano le imposte dirette, ma bisogna ricorrere a una parte di quelle indirette. Il problema, insomma, è intervenire sulla spesa assistenziale.
SUGGERIMENTI
Detto questo, qualche intervento anche sulle pensioni è necessario. I suggerimenti contenuti nel Rapporto sono tre: aumentare l’età di pensionamento, che al momento è tra le più basse d'Europa (circa 63 anni), incentivare chi ha raggiunto i limiti di età, ma può ancora lavorare, a rimanere attivo, infine migliorare la prevenzione, così da permettere una vecchiaia in salute. Per il resto, dai dati contenuti nel Rapporto, emerge che i pensionati tornano a crescere lievemente nel 2022 (16,13 milioni), ma gli occupati aumentano più rapidamente sfiorando i 23,3 milioni. Il sistema tiene grazie alla crescita del lavoro e dei contributi, ma è appesantito dall’aumento della spesa per l’assistenza. Crescono le entrate contributive, che salgono dell’8% rispetto al 2021 toccando quota 224,94 miliardi di euro. «Nel complesso», si legge nel Rapporto, «la spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti è stata nel 2022 pari a 247,588 miliardi, per un’incidenza sul Pil del 12,97%, in riduzione rispetto al 13,42% dello scorso anno».
Se si tolgono gli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo e gestione degli interventi assistenziali, si scende addirittura all’11,72%. E all’8,64% se si tolgono le imposte Irpef. Un dato persino sotto la media, ma lontano da quello calcolato da Eurostat che, invece, somma anche la spesa in assistenza.