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Sandro Iacometti: Maurizio Landini disco rotto, ogni volta le stesse bufale

di Sandro Iacometti martedì 23 gennaio 2024

Maurizio Landini

4' di lettura

Repetita iuvant o perseverare è diabolico? Per Maurizio Landini fa poca differenza. L’importante è deformare la realtà, negare i dati, descrivere l’uragano in arrivo anche quando all’orizzonte non si vede una nuvola. Puntuale come le tasse, con cui il sindacalista vorrebbe randellare il ceto medio impoverendo la fascia di popolazione che finanzia il welfare e l’assistenza, sulle pagine di Repubblica è comparsa l’ennesima intervistona a tutta pagina al segretario della Cgil.

E questa volta, udite udite, nel corso del colloquio, per evitare imbarazzi, compare pure il nome di Stellantis. Per una volta Landini gliele suona agli Agnelli-Elkann sul giornale di famiglia? Partono bordate contro la fuga del gruppo dall’Italia? Macché. Il tema dell’auto, spiega il sindacalista, «non è risolto». Per questo «chiediamo a proprietari e governo di attivare tavoli per dare un futuro al settore». Peccato che il tavolo ci sia già, e che anche la Cgil, sebbene nessuno finora se n’è accorto, sia della partita.

LAVORO POVERO - Ma è inutile divagare. Il problema in Italia non è Stellantis, ma il disastro di un governo che non fa nulla per i lavoratori. Solo qualche giorno fa, di fronte ai sontuosi dati Istat sui record toccati dall’occupazione a novembre, il sindacalista aveva commentato: «I numeri in sé non dicono nulla». Nell’intervista, però, di numeri ce ne sono tanti, anche se tutti sballati. Mai così tanti lavoratori in Italia? L’Istat dice che i 23 milioni e 700 mila registrati a novembre non si sono mai visti nella storia del Paese.

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Ma ecco la verità. «Il lavoro povero sta esplodendo», spiega Landini, «solo il 16,5% dei contratti attivati lo scorso anno è stabile. Gli altri sono precari e aumenta il ricorso al part-time involontario». Ora, lasciamo da parte il «part-time involontario» che è impossibile da dimostrare, ma quel 16,5% da dove esce? L’ultimo bollettino dell’Istat dice che «il numero degli occupati è in complesso superiore a quello del novembre 2022 di 520mila unità. Esse corrispondono a un incremento di 551mila dipendenti permanenti e 26mila autonomi, mentre il numero dei dipendenti a termine risulta inferiore di 57mila unità». Troppo complicato? Allora prendiamo i dati Inps relativi ad ottobre. Il saldo, che comprende attivazioni, cessazioni e trasformazioni ed è l’unico dato che conta, è positivo e parla di 402 contratti a tempo indeterminato nei primi 10 mesi e di 178mila contratti a tempo determinato. Ora, sarà pure vero che i «numeri in sé non dicono nulla» e forse da qualche parte c’è anche un dato che giustifica quel 16,5% buttato lì da Landini sicuramente non senza qualche pezza d’appoggio. Ma consultando i rapporti ufficiali, individuare brandelli di quello scenario catastrofista che vuole tratteggiare il sindacalista è obiettivamente non facile.

Così come non è facile credere alla sua buona fede quando spara che «il taglio Irpef vale tra 7 e 10 euro lordi al mese per i salari bassi». No, perché se il taglio è quello derivante dall’accorpamento delle aliquote parliamo di 260 euro l’anno, mentre se il riferimento è al cuneo fiscale, l’aumento in busta paga è di circa 100 euro al mese. Una misura che, nella versione dimezzata varata dal governo Draghi, Landini si era addirittura vantato di aver imposto a colpi di proteste e manifestazioni. Salvo poi contestarla nel momento in cui l’importo è raddoppiato.

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I DELIRI DELL’OCSE - D’altra parte, bisogna ammettere che il sindacalista è in buona compagnia. Quanto a cantilene stonate non scherza neanche l’Ocse, che dimenticandosi troppo spesso del suo ruolo scientifico continua da anni a proporre ricette salva conti che sembrano uscite dall’ufficio studi della Cgil. L’Organismo internazionale perla cooperazione e lo sviluppo economico, zeppo di funzionari ed esperti italiani che hanno frequentato a lungo i palazzi della politica, a quanto pare non senza conseguenze, passa in rassegna la solita lista di difetti decennali italiani (bassa crescita, debito alto e scarsa dimestichezza con le riforme) per poi arrivare alle conclusioni finali. Come se ne esce? Più tasse sulle pensioni alte, sulle successioni e, manco a dirlo, sulle case.

Poi, per chiudere il cerchio, stop a tutte le forme di prepensionamento che hanno annacquato la Fornero. Forse dimenticandosi che dalla crisi globale del 2008 l’Italia non si è mai ripresa, malgrado nel 2011 arrivò un professore, al secolo Mario Monti, che mettendo in pratica proprio i suggerimenti che l’Ocse continua a propinarci da decenni, patrimoniali a valanga sulle abitazioni e sulle rendite finanziarie, rasoiata micidiale sulle pensioni (con tanto di contributo di solidarietà su quelle più alte), riuscì solo a soffocare la crescita e, guarda un po’, ad aumentare il debito. Quello che è successo negli anni a venire lo conosciamo. E di certo non invoglia nessuno a ripetere l’esperienza. 

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