Per gentile concessione, pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Matteo Renzi, leader di Italia viva, "Palla al centro. La politica al tempo delle influencer" (edito per Piemme da Mondadori Libri S.p.A.)
I congressi del Partito democratico sono ormai un’esperienza mitica, se non mistica. Chi come me ne ha vinti due può permettersi il lusso di parlarne con rispetto, ma con verità. Intanto c’è la questione del dibattito, anzi del «dibbbbattito» con quattro b.
Nella preparazione del congresso del ’23, ad esempio, la frase più interessante per capire il livello del ragionamento è quella del più ascoltato guru del pensiero dem, Goffredo Bettini. Che come al solito non le manda a dire: «Dobbiamo recuperare la scintilla della Rivoluzione d’ottobre».
La giovane segretaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, scelta da Enrico Letta per rinnovare il partito come candidata per il seggio di Trieste, elogia Lenin. Ed è quella che rinnova. Ti immagini chi sono quelli che invece vogliono restaurare? Persino un riformista storico, diventato espressione della sinistra radicale per mera esigenza di opportunità, quale Roberto Speranza, cresciuto socialista in una regione di democristiani e comunisti, attacca il neoliberismo.
È il congresso del ’23, ma sembra quello del ’21. Solo che sembra quello del 1921. Quello di Livorno, insomma. Quello della scissione tra socialisti e comunisti. Il congresso tra gli iscritti lo vince Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia-Romagna, ma quando si fanno le primarie, qualche settimana dopo il voto dei tesserati, ai gazebo si recano molte persone della sinistra più radicale. Molte, oddio, ora non esageriamo. Quando le primarie le facevamo noi stavamo tra i due e i tre milioni di partecipanti. Ora siamo a un milione di voti scarso.
La verità è semplice: non è che Bonaccini perde perché vanno ai seggi i grillini. Bonaccini perde perché ai seggi non vanno i riformisti. Perché in un partito che recupera la scintilla della Rivoluzione d’ottobre, che cosa ci sta a fare un riformista? È la mia tesi, da tempo.
Credo che esista uno spazio riformista, alternativo al sovranismo della Meloni e di Salvini, ma molto distante dalla sinistra radicale, che questo Pd non intercetta più.
Parliamoci chiaro: se elogi Lenin, fatichi a prendere il voto del piccolo e medio imprenditore, della partita Iva, del giovane laureando. E anche del pensionato che si ricorda che cosa è stato il comunismo oltre la Cortina di ferro. Una di Trieste che elogia Lenin può solo ringraziare di essere nata nel secolo giusto. Perché a qualche chilometro di distanza da casa sua ci sono le foibe a ricordare che cosa è stato il comunismo nel ventesimo secolo.
La mia speranza con Italia Viva era dare una casa, o quantomeno un tetto, a tutti quelli che non riconoscendosi nella destra sovranista volessero continuare la battaglia riformista che aveva animato l’esperienza del nostro governo. Ma anche richiamare l’idea originaria costitutiva del Partito democratico di Veltroni, un’esperienza che si richiamasse a Bill Clinton e Tony Blair, non a Jeremy Corbin e Jean-Luc Mélenchon.
Quel disegno è stato minato in partenza dalla incredibilmente tempestiva apertura della più stupefacente inchiesta politica degli ultimi anni, quella su Open. Parliamoci chiaro: tante indagini giudiziarie si sono concluse con un nulla di fatto. Il buco nell’acqua non è una prerogativa solo della Procura di Firenze. Ma nel caso di Open l’incredibile e straordinaria coincidenza tra il mio abbandono del Pd e l’apertura di un’indagine, con tanto di perquisizioni a tappeto eseguite con più personale di quello mandato nel trapanese a cercare Messina Denaro, ha portato a uccidere nella culla il progetto di fare di Italia Viva quell’esperienza che ripetesse l’operazione Macron-socialisti francesi. Volevo cioè svuotare l’anima riformista del Partito democratico offrendo una casa diversa a chi non poteva stare con Conte «fortissimo punto di riferimento dei progressisti», come diceva ancora il guru Bettini.
Ma se quando parte il progetto stai per mesi sui media come uomo che prende finanziamenti illeciti – accusa talmente assurda da non essere non solo provata, ma neanche lontanamente immaginabile – non sarai mai attrattivo. Beh, il passato ormai è passato. Non si torna indietro, meno che mai al 2019. Italia Viva ha svolto comunque una funzione salvifica per il Paese mandando a casa Conte e portando Draghi, e poi creando le condizioni per la presenza in parlamento di un Terzo Polo che senza Italia Viva non avrebbe avuto non solo i voti, ma neanche le firme per presentarsi. E Italia Viva rappresenta anche per le europee 2024 la sola speranza di un’alternativa agli influencer di destra e di sinistra.