«Vorrei che tutti avessero i miei genitori perché mi hanno permesso di scegliere. Auguro a tutti i bambini di avere la libertà che ho avuto io». Sono le parole di Jannik Sinner dopo la storica vittoria agli Open. Quindi, è questo il punto per avere dei figli soddisfatti delle loro vite? Lasciargli la libertà? In realtà la risposta non è così semplice. Secondo Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Cpp (Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti), come spiega nel suo nuovo saggio in libreria da oggi Non sarò la tua copia- Liberarsi dai pesi dell’infanzia per costruire la vita che desideriamo (Bur Rizzoli, pag 224) il discorso sull’educazione è molto più complesso. L’imprinting educativo ricevuto nel corso dell’infanzia «restando sotto traccia continua a lavorare e influenzarti anche nella maturità».
E Sinner, osserva Novara, «è ancora molto giovane e dipendente dai genitori. Perché non si può ridurre il suo successo alla libertà. I genitori gli hanno consentito di coltivare il suo talento, ma è una scelta dei genitori appunto, non di Sinner. Se essi lo avessero voluto laureato non sarebbe diventato il campione che conosciamo. Il problema è che l’opinione pubblica non è cosciente della pervasività educativa. Noi siamo una pasta in mano ai genitori ma da adulti possiamo provare a costruire qualcosa di nostro».
Lei nel libro fa l’esempio di Andre Agassi, dei fratelli Inzaghi e delle sorelle Williams nello sport e di Ennio Morricone nella musica. Tutti loro hanno seguito un determinato copione educativo - con o senza conflitti e divergenze- e hanno di fatto realizzato i desideri dei loro genitori.
«Gli Inzaghi o Agassi, pur subendo un copione altrui, se la sono cavata egregiamente ma attenzione, perché cosa succede a chi subisce un copione e non ce la fa? Pensiamo a quanti drammi possono provocare le pretese dei genitori. Pensiamo alla famiglia Agnelli, al dramma del nipote Edoardo. O ai Kennedy. I genitori con troppe richieste e proiezioni possono fare danni. Come spiego nel libro, il desiderio è un carburante per i figli ma qua la pretesa li soffoca».
Lei offre infatti un metodo, con tanto di esercizi, in cui “setacciare” la propria infanzia, trovare episodi “paradigmatici” della nostra storia. Perché “non esiste altra possibilità che partire dal proprio mondo e dai propri errori”. Quindi invita il lettore a scrivere “la prima pagina del romanzo della mia educazione”. A cosa serve? E cosa si scopre?
«L’educazione è un grande racconto che in parte è costituito da quello che ci è stato consegnato. E l’incipit è quell’episodio che meglio rappresenta l’educazione ricevuta. In generale non siamo sufficientemente distaccati e lucidi rispetto alla nostra infanzia e all’imprinting ricevuto. Eppure se pensiamo a Vittorio Sgarbi e a sua sorella Elisabetta, come si fa non pensare che non ci sia stato un ben preciso imprinting educativo? Seppur caratterialmente diversi, sono entrambi immersi nella cultura e nell’arte dove hanno avuto uno straordinario successo. E ancora, nel caso di Chiara Ferragni, quanto c’è di sua madre? Raccontando in diverse interviste la sua infanzia, Marina Di Guardo ha parlato di quanto il padre la rendesse invisibile e ora vediamo come invece proprio la visibilità sia diventata centrale, per lei e per la figlia Chiara. Insomma noi siamo un condensato, le radici educative giocano un ruolo fondamentale, più le conosciamo e prima le individuiamo, meglio è per diventare noi stessi».
Come Ennio Morricone. La sua storia l’ha colpita molto...
«In un bellissimo documentario che Tornatore ha dedicato a Morricone, il Maestro riscatta il padre diventando quello che il padre non è riuscito a essere perché è rimasto un musicista mediocre, un musicista da balera. Ma dalla sua storia emerge che Ennio Morricone non è riuscito a godersi fino in fondo il successo ottenuto. C’è una sorta di nostalgia. Il sogno del padre è diventato il suo compito. Quindi è importante capire quanto siamo dentro un copione educativo e chiederci cosa ce ne facciamo. Bisogna esplorarlo e stabilire ciò che vogliamo tenere e ciò che vogliamo buttare».
Lei fa l’esempio del cambio armadi... Ma c’è qualcosa che bisogna sicuramente conservare e, al contrario, qualcosa di cui ci dobbiamo liberare? È una scelta soggettiva o ci sono dei punti fermi?
«Non esiste una linea. Ognuno deve fare i conti con la propria storia. Senz’altro non possiamo processare i nostri genitori, perché sarebbe una inutile dispersione di energia. Ma possiamo analizzare l’educazione ricevuta per emanciparci e fare le scelte adeguate per vivere la nostra vita».
Eccoci quindi arrivati al Non sarò la tua copia...
«Non sarò la tua copia non è un grido di ribellione verso qualcuno quanto la carica per darsi il coraggio che serve a realizzare i propri desideri. La metafora di Nietzsche sul cammello, il leone e il drago è perfetta in questo senso».
Può spiegarla?
«Il cammello simboleggia l’infanzia che è caratterizzata dall’obbedienza, dall’accettare gli obblighi. Poi il cammello si trasforma in un leone che rappresenta l’età adulta. Il leone che nascerà avrà il compito di uccidere il drago che si chiama “tu devi”. La lotta contro il drago è difficile ma dopo saremo capaci di rivedere il mondo e le esperienze con gli occhi già usati nel passato scoprendo però altre dimensioni di conoscenza».
Ora provate a scrivere l’incipit del vostro romanzo educativo. E poi ancora date un aggettivo al copione educativo che avete ricevuto. Infine, interrogatevi su quale sia il vostro cammello, il leone e il drago che avete combattuto o dovete ancora combattere per realizzarvi. Prendete carta e penna. Non è semplice. È una autoanalisi che richiede una impegnativa riflessione sulla propria storia. Ma ne vale la pena. In fondo non vogliamo essere tutti protagonisti della nostra vite?