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Mario Sechi intervista Javier Milei: "Conservatori, uniamoci"

di Mario Sechi martedì 13 febbraio 2024

7' di lettura

Javier Milei è l’uomo delmomento. L’appuntamento è a Roma, all’Hotel Ambasciatori, avanza sorridente, ha i capelli da Milei, gli occhi cerulei dove si agita un oceano, un’energia guizzante. Ha appena incontrato Papa Francesco,il Presidente SergioMattarella e il premier Giorgia Meloni. 

Tour completo di un Capo di Stato. Milei ha l’aria di chi sta tessendo una tela, non solo per dare corpo e sostegno al suo piano per l’Argentina. La sua rivoluzione è quella di un uomo di pensiero che conduce una battaglia delle idee, un politico che vuole scardinare il “pilota automatico” della contemporaneità, abbattere i totem e tabù, cambiare la rotta della nave dell’Occidente. Per farlo, sa che non basta un uomo solo, serve un coordinamento dei partiti conservatori a livello internazionale, occorre «indirizzare il dibattito verso il lato giusto» e colmare il divario storico tra destra e sinistra,
liberali e socialisti, perché «la sinistra è in vantaggio di trent’anni rispetto a noi». Milei assicura: «È quello a cui stiamo lavorando». Il cantiere è aperto, la “motosierra” di Milei è accesa.

Presidente Milei, lei è stato prima in Israele e poi in Italia. È soddisfatto dei suoi incontri? 
«Sono molto contento della visita in Israele e in Italia». 
L’incontro con il Presidente Sergio Mattarella com’è andato?  >
«È stata una visita istituzionale, dove si è parlato di come intensificare una serie di relazioni commerciali». 
Lei punta sull’Italia?  
«È un paesemoltoimportante perl’Argentina, strategico. La maggior parte degli argentini ha un’origine italiana. Ci sono una serie di legami culturali forti, ma non solo, anche commerciali, perché molte imprese hanno sede in Argentina e viceversa». 
L’incontro con il premier Giorgia Meloni?
«Meraviglioso. Meloni è una persona che ti trasmette allegria, ottimismo, forza, è stata un riunione molto positiva. Abbiamo discusso di relazioni economiche, di quale aiuto può dare l’Italia all’Argentina nei rapporti con il Fondo monetario internazionale, abbiamo parlato di questioni culturali. È stato fantastico». 
E ha avuto un’ora di incontro con il Papa.  
«Settanta minuti». 
Per l’esattezza.  
«È stato un incontro profondo. Naturalmente, all’inizio della conversazione ho chiesto subito scusa al Papa per le mie affermazioni su di lui di quando ero più giovane. Il Papa mi ha detto: “Tutti quando siamo giovani commettiamo errori, non ti preoccupare”. Ho rinnovato il mio invito al Papa a venire in Argentina. Abbiamo parlato del programma economico, ho raccontato cosa abbiamo ereditato, ho spiegato le varie alternative e i risultati possibili. C’è stata una coincidenza con il Papa in questo senso, ha manifestato la sua approvazione sul programma economico e ha manifestato la sua preoccupazione per i settori più vulnerabili. Ho commentato con il Papa quello che stiamo facendo sul ministero del Capitale umano, per aiutare non solo le fasce più vulnerabili, ma anche altri attori medi, settori della vita sociale che per noi sono di grande importanza».
Si aspettava l’appoggio del Papa?  
«È stata una sorpresa importante, molto positiva». 
Le ricette economiche degli ultimi 30 anni hanno bisogno di essere cambiate?  
«L’Argentina è da 100 anni che ha intrapreso un percorso di dosi crescenti di socialismo. È passata così da essere il paese più ricco del mondo al 140° posto di oggi. Abbiamo il 50% di poveri, il 10% di indigenti, la ricetta della “socialdemocrazia cool” non ha funzionato e l’emblema del fallimento è proprio la giustizia sociale». 
Lei a Davos ha criticato i capitalisti che hanno abbracciato la sirena del socialismo.  
«Esattamente. È la critica centrale, il cuore del capitalismo che ha abbracciato il politicamente corretto e in questo modo si è snaturato seguendo la sirena della socialdemocrazia. È ciò che sta creando questa situazione negativa in tutto il mondo». 
Presidente Milei, crede che possa essere utile una nuova Bretton Woods, un ridisegno del sistema finanziario?  
«Questo sarebbe proprio cadere nella trappola socialista. Questo è quello che succede nel cammino “hayekiano” della schiavitù. Quando vedono un fallimento del mercato, iniziano a regolamentare, poi quando la regolazione fallisce mettono nuove regole ed ecco il socialismo. La vera ricetta è levare di mezzo lo Stato, aprire una serie di settori all’impresa privata che può fare tutto quello che fa lo Stato in maniera migliore». 
Il suo piano di privatizzazioni come va?  
«Era nella legge di base, l’opposizione ha ridotto il numero di imprese da privatizzare. Ora con la caduta della legge non possiamo privatizzare. Ma le persone, fortunatamente, si rendono conto che dietro tutto questo c’è l’idea di usare la cassa di queste imprese. Per rubare». 
Lei conta sull’appoggio dell’opinione pubblica?  
«I media non sono favorevoli, soprattutto perché abbiamo tagliato le sovvenzioni alla pubblicità. Ma noi abbiamo la comunicazione diretta con le persone, questa è la cosa più importante». 
Come pensa di convincere il Parlamento a cambiare idea?  
«Nell’ultima elezione si è visto chiaramente chi sono le persone oneste e chi sono i “ladrones”. La strategia è svelare chi sono i ladri». 
Che cosa significa essere un leader?  
«Non lo so. Lo chieda a un leader». 
Ma lei è un grande leader, ha fatto un’impresa incredibile.  
«Non ne ho coscienza». 
E da leader, avendo fatto una cosa incredibile, lei ha realizzato solo una piccola parte. La attende un grandissimo lavoro, questo lei lo sa?   
«Il futuro va scritto e quindi bisogna solo lavorare». 
Quante ore lavora al giorno?  
«Almeno 18 ore». 
Dorme quattro ore?  
«No, dormo sei ore. Mi sveglio e vado subito in ufficio. Dove vivo, alla Quinta de Olivos, ho due uffici. Uno, sta proprio sotto l’ascensore, così vado subito a lavorare». 
Che cosa le hanno insegnato suo padre e sua madre?  
«Che l’unica forma di miglioramento è lavorare». 
E lei ricorda ogni giorno questo insegnamento?  
«Lo onoro con le mie attitudini, le mie azioni». 
Le piace il tango?  
«Mi piace l’Opera». 
Ah, questo è molto italiano. Quali compositori?  
«Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi e Puccini». 
E il calcio le piace?  
«Sì, mi piace. Ho giocato a calcio». 
Che ruolo? 
«Portiere». 
Io ero mediano. Non ero tanto bravo. 
«Neanche io». 
Lei è stato economista e ora è presidente, io faccio il giornalista... Lei ha fatto anche un film su se stesso. 
«Due film. Uno su un libro che ho scritto, si intitola “Pandenomics”, e l’altro è sulla rivoluzione liberale, racconta la mia campagna elettorale per diventare deputato nel 2021». 
Come ha scoperto la passione politica? A un certo punto, cosa le è successo? 
«La realtà è che è stata la politica a prendermi. Gli attacchi alla libertà, in particolare la censura, mi hanno spinto a entrare in politica». 
Che cosa pensa dello scenario internazionale? La guerra in Ucraina, un conflitto in Medio Oriente in espansione. Abbiamo bisogno di una nuova Onu? 
(Milei sorride) «Una che regoli mas... di più...». 
Stati Uniti. Lei dopo aver vinto le elezioni, non aveva ancora giurato, è volato subito a Washington. Perché?  
«Sono stato il primo presidente eletto, non ancora insediato, ad essere invitato dalla Casa Bianca». 
Ha parlato con Jake Sullivan, il Consigliere per la sicurezza della Casa Bianca?  
«Sì, ho visto Sullivan. Con Antony Blinken mi incontrerò tra un paio di giorni». 
Quanto è importante per lei, per il suo piano, la relazione con gli Stati Uniti? 
«È fondamentale. Nonostante siano retrocessi in termini di libertà, sono un grande standard per l’Occidente, è la sede della libertà». 
Si è dato un termine, un obiettivo temporale, per esaminare, fare il punto sul suo programma? 
«Lo faccio tutti i giorni. Tutti i giorni esamino i risultati». 
Si attendeva un lavoro così duro?  
«Sì». 
Realista. Lei come si definisce?  
«Come una persona integra». 
Liberale, anarchico-liberale?  
«Paleo-libertario. Come dice il professor Jesús Huerta de Soto, sono un anarco-capitalista come Dio comanda». 
Trump o Biden?  
«Non posso occuparmi di un’elezione di un Paese estero, non sarebbe giusto». 
Una speranza personale?  
«Contribuire ad aumentare i livelli di libertà per i cittadini». 
Quali altri leader incontrerà?  
«Ci sono molte persone che capiscono e vogliono andare nella direzione giusta. Un esempio chiaro è qui in Italia, Giorgia Meloni. In Spagna, c’è Vox con Santiago Abascal e per il Partito popolare, Isabel Díaz Ayuso. In Brasile ci ha provato Jair Bolsonaro. Ci sono vari leader che stanno cercando di indirizzare il dibattito verso il lato giusto. Il problema è che la sinistra è in vantaggio di trent’anni rispetto a noi». 
E la sinistra ha un coordinamento internazionale.  
«Esattamente». 
Quello che manca ai conservatori.   
«È quello a cui stiamo lavorando». 
Creare un coordinamento dei conservatori nel mondo?  
«È quello a cui stiamo cercando di lavorare». 
Un augurio agli italiani?  
«Che mantengano questa loro passione per l’arte. Qui tutto è arte. Si vede da come si vestono, da come disegnano gli italiani, ne è intrisa la cultura. È impressionante andare in un luogo dove tutto è bello». 
Ultima domanda, Presidente: dove ha lasciato la motosega?  
«La motosega sta lavorando a Buenos Aires. In meno di due mesi abbiamo mandato via 50 mila dipendenti pubblici, non ho rinnovato 10 mila contratti e 200 mila piani di assistenza. Abbiamo eliminato l’Opera Pubblica, cancellato il 98% dei trasferimenti discrezionali alle province e dimezzato il numero dei ministeri. La motosega ha tagliato la spesa reale del 30% e ridotto un deficit finanziario maggiore di 5 punti rispetto al Pil. Dopo due mesi abbiamo raggiunto l’equilibrio finanziario. “Pura motosierra”».

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