Se è vero che «nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino», come cantava Lucio Dalla, è innegabile che la città che abbiamo conosciuto in altri anni e nella quale siamo cresciuti, beh, quella non esiste più. Come prealtro preconizzavano anche i Nabat, gruppo punk felsineo degli anni Ottanta, che smontavano i luoghi comuni gridando “Laida Bologna”. Certo, manteniamoci lontani dal patetico predicozzo secondo cui «si stava molto meglio una volta», visto che la Bologna della nostra memoria era pure quella dell’eroina facile e del famigerato ’77 che portò guerriglia urbana e morti per strada. E però tornare sotto le antiche Due Torri - con quella della Garisenda a rischio crollo, e anche questa è un’immagine emblematica- e ritrovarla così precaria, grigia, violenta e in parziale degrado, non è un’esperienza esaltante.
Eppure, per l’amministrazione comunale e per il sindaco Matteo Lepore, piddino imbevuto di ideologie, va tutto bene, e sono altre le priorità della città. Stupri e violenze sembrano venire dopo la filosofia del limite di velocità a 30 all’ora che sta sfiancando i bolognesi, e comunque dopo l’ossessione della città “green”, con la “fondamentale” riapertura del canale che scorre sotto la città per ricreare un’atmosfera stile Navigli milanesi: sono questi gli argomenti in cima alla lista.
L’obiettivo è “una Bologna più ecologica” e, a tal fine, faraonici lavori per realizzare un inutile tram “ecologico” che sta spaccando la città, mandando in tilt il traffico. E pazienza se, mettendo in atto queste due idee (tram + canale), spariranno più di trecento parcheggi, facendo imbestialire i cittadini. Lepore e l’assessore comunale alla Mobilità, Valentina Orioli, hanno un unico obiettivo: portare i bolognesi a usare sempre meno l’auto a beneficio di mezzi pubblici e biciclette, con le due ruote - non tutte, ma parecchie - che sfrecciano arroganti sotto i portici o contromano.
I NUMERI DEL CRIMINE
La rossa Bologna, dati alla mano, si trova in una situazione deleteria per quanto riguarda la sicurezza: un'indagine del Sole 24 Ore la certifica al quarto posto in Italia per criminalità dietro Milano, Rimini e Roma, ma al secondo sempre dietro Milano - per stupri e percosse, e poi quarta per estorsioni, quinta per delitti informatici, sesta per furti. Un disastro. La violenza e il degrado abitano nella zona universitaria, un tempo giardino felice di cultura e buone maniere. Tra via Zamboni, via Belle Arti e la storica Piazza Verdi, dove sono ormai consuetudine i sit-in di studenti (abbondantemente fuori corso) e lo spaccio dei magrebini di turno, inizia a sera la temuta movida che, nell’attigua Piazza Aldrovandi, squassa il sonno e la tranquillità dei residenti. «Urla, musica a volume concerto, bottiglie rotte e violenze stanno rovinando la vita a chi qui ci abita» dice Giuseppe Sisti, che guida l’Associazione Petroni e Dintorni. «Comune e sindaco sono insensibili». Occupati a pensare green. Le scelte dell’amministrazione in termini di accoglienza indiscriminata ha poi portato a realtà imbarazzanti. Sui colli bolognesi, quelli decantati da Cesare Cremonini nella festosa canzone “50 Special”, c’è Villa Aldini, costruita a inizio ‘800, ideata da Antoni Aldini, ministro e plenipotenziario di Napoleone, su progetto di Giuseppe Nadi.
Si narra che il Piccolo Corso nel 1805 salì sulla collina, ed esclamò: «Ça c’est superbe!», «Qui è stupendo!». Da sempre vanto dei bolognesi che alzano lo sguardo verso quella magnificenza, per anni ha ospitato migranti ed extracomunitari di varie origini. Ultimamente era stata destinata all’accoglienza di minori non accompagnati e la scelta si è rivelata un boomerang. Costoro, formate vere e proprie baby gang, hanno usato Villa Aldini come base per poi calare in città e abbandonarsi a rapine e saccheggi nei negozi del centro. In gran fretta il Comune ha annunciato la riqualificazione e rifunzionalizzazione della Villa. D’altro canto, il problema delle abitazioni occupate, ma soprattutto dei centri sociali che nascono come funghi e sono ricettacoli di malvivenza, costituiscono da sempre un tallone d’Achille per i sindaci rossi, costretti di tanto in tanto a far intervenire le forze dell’ordine per inscenare sgombri in favor di telecamera. Quasi a voler dire: visto come siamo bravi a tenere l’ordine pubblico? Parole al vento. Poche ore, e il problema si paventa altrove.
A Bologna, poi, la “canna” va sempre di moda, anche presso i politici del Pd. Non fraintendeteci, e però è un fatto che il consigliere comunale Mattia Santori - la leggendaria “sardina” che creò anni fa il movimento anti centro-destra con l’aiuto di Romano Prodi - sia testimonial acceso della liberalizzazione delle droghe leggere. Motivazione: «Non è giusto che i soldi dei consumatori finiscano nelle tasche delle mafie, per questo va legalizzata». Figurati che bel ragionamento.
PROGETTI VELLEITARI
Sostenuta dal Comune, sta poi prendendo piede la filosofia del cosiddetto co-housing, abitazioni che prevedono cucine e toilette in comune con altre famiglie. Il tutto per abbassare affitti e costi delle abitazioni che onestamente, in una città universitaria come Bologna, sono saliti alle stelle: in centro un monolocale per due studenti viene affittato ad almeno 1000 euro al mese. Dicevamo del co-housing: sotto la collina di San Luca il Comune ha deciso di destinare una ex casa di cura privata, a suo tempo occupata illegalmente, alla ristrutturazione integrale. Costo: 4 milioni. Obiettivo: creare 16 alloggi a canoni calmierati sulla base di un progetto di “condominio solidale”.
Molto romantico. Ma nessuno racconti al sindaco Lepore quello che è accaduto a San Giovanni in Persiceto, alle porte di Bologna, dove il tentativo di far convivere due persone inserite in un progetto di coabitazione solidale del Comune è fallito miseramente: Andrea Beluzzi è stato accoltellato e il suo coinquilino, Francesco Ferioli, è agli arresti con l’accusa di omicidio. Sull’episodio è caduto il silenzio. Il nostro triste e malinconico giro nella Bologna che non c’è più si conclude a Casalecchio, altro lembo periferico dove Silvio Berlusconi creò a inizio anni ’90 un grande centro commerciale. Questa città nella città si chiama Gran Reno e comprende la grande distribuzione, ristoranti e negozi di stile, oltre a un palasport (il più grande in Italia) per i grandi concerti. Ebbene, negli ultimi tempi quest’area è diventata il far west per guerre fra gang rivali di nazionalità non italiana. La paura domina, al Gran Reno. Bologna sogna, si diceva una volta. Vero. Sogna un’altra Bologna. Meno carogna.