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Pietro Senaldi sulle Regionali in Sardegna: gufi in volo, il Pd spera nel colpo ma...

di Pietro Senaldi martedì 20 febbraio 2024

4' di lettura

C’è un venticello maligno che soffia contro il centrodestra. I gufi sono all’opera, probabilmente insoddisfatti; questione di appetiti.
Il prossimo fine settimana si vota in Sardegna e, giusto o sbagliato che sia, in Italia è vietato pubblicare sondaggi. Questo autorizza a sparlare di rilevazioni demoscopiche non attribuibili ad alcun istituto che non escludono un passaggio dell’isola dal centrodestra al centrosinistra; anzi, lo descrivono come l’ipotesi più probabile. Sono indicazioni dubbie, come tutte quelle senza padre, che però servono a suggestionare l’elettorato. Pertanto sono pericolose, visto che è noto che i giochi si fanno nell’ultima settimana e, come l’esperienza insegna, ci sarebbe ancora un venti per cento di indecisi. Non può essere un caso che lo spiffero contrario alla maggioranza abbia immediatamente prodotto una corrispondenza d’amorosi sensi tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, che potrebbero tenere un comizio insieme sull’isola prima di domenica all’insegna dell’uniamoci tutti contro le destre autoritarie.

LE TRATTATIVE
La storia è recente e nota. Sull’isola governava il leader del partito indipendentista, Christian Solinas, guadagnato alla causa da Matteo Salvini, che lo avrebbe anche ricandidato. A Roma però si è deciso diversamente, complice qualche guaio, anche giudiziario, del governatore uscente nonché una manciata di giudizi taglienti sulla sua amministrazione. Fatto sta che la scelta è andata su Paolo Truzzu, fratello d’Italia doc nonché sindaco di Cagliari. Solinas ha accettato e ha fatto il passo indietro con eleganza e Salvini si è quindi speso per sostenere il candidato meloniano, facendo la spola dal continente all’Isola e, a onore del vero, riempiendo piazze e sale convegni ovunque andasse. Tant’è che sul fronte del centrodestra il sondaggio negativo non ha destato particolare allarmi e i tre tenori, Meloni-Salvini-Tajani, canteranno insieme domani sul palco di Cagliari le lodi al candidato comune.

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Occhio però. Le elezioni amministrative, e sarebbe il caso di capirlo, si vincono sul territorio, che non sempre rispecchia gli equilibri della politica romana, tantomeno quando il voto è locale e pertanto non ci si può aspettare che ricalchi più o meno fedelmente quello dato per il governo del Paese. Nella fattispecie la forza di Truzzu sta nelle dieci liste che lo appoggiano, che contengono nomi importanti, gente che porta voti. La sua rivale invece, la più giallo che rossa Alessandra Todde, è riuscita a pareggiarlo nel numero di liste di sostegno ma non nella qualità dei candidati. Altra carta in più per il centrodestra sono le divisioni della sinistra, dove l’ex governatore, Renato Soru, ha presentato una velleitaria candidatura di disturbo, che potrebbe drenare voti decisivi, anche se gli esperti ritengono che la forza del fu editore dell’Unità si sgonfierà negli ultimi giorni.

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Come andrà a finire lo sapremo tra una settimana, ma già ora sono opportune un paio di considerazioni, perché il mestiere dei gufi è gufare, e pertanto non ci si deve preoccupare più di tanto, ma nell’isola per il centrodestra non è tutto rose e fiori e qualche ragione gli iettatori ce l’hanno. La tornata elettorale non è affatto da sottovalutare, perché si sperimenta lo scontro frontale tra due blocchi, centrodestra e giallorossi per la prima volta da che la Schlein comanda il Pd, fatto salva la tragica esperienza del Molise e dell’aperitivo di Campobasso tra i leader del campo largo della sinistra. Il governo Meloni viene da due vittorie sul territorio, un anno fa, in Friuli Venezia Giulia, dove ha trionfato pur perdendo il sindaco di Udine, e pochi mesi più tardi, allorché, malgrado le sconfitte a Brescia e Vicenza, ha conquistato importanti città, da Ancona a Pisa, da Imperia a Latina, da Siena a Brindisi. Ma attenzione, le polemiche nazionali sul terzo mandato da concedere o no a governatori e sindaci e le tante punzecchiature di questi giorni tra Lega e Fdi non fanno bene, specie a ridosso di un voto, e specie di quello in Sardegna, dove si è trovato il candidato comune dopo un lungo braccio di ferro.

Per questo il premier vorrebbe a tutti i costi scongiurare che giovedì in commissione Senato si vada alla conta sulla proposta della Lega di introdurre il terzo mandato per sindaci e governatori, con rischio di spaccatura della maggioranza e di un Pd che vota con i salviniani. Oggi e domani la Schlein sarà sull’isola, con Bersani; è una buona notizia per il centrodestra, visto che il secondo è un disco rotto del tempo che fu e la prima dà la sensazione di essere fuori luogo ovunque la metti, e appena apre bocca in genere se ne ha conferma. La partita infatti pare ancora nelle mani della maggioranza, che mercoledì è attesa a una prova decisiva e unitaria con Meloni, per la prima e unica volta in visita elettorale sull’isola malgrado il candidato sia suo, Salvini e Tajani. Sono grandi professionisti e certamente sapranno cosa dire, avranno studiato a fondo la pratica e daranno un’idea di compattezza. Se però il giorno dopo in Commissione parlamentare il fronte si spacca sul terzo mandato, l’ultimo messaggio agli elettori resterà quello.

LA REALTÀ
Chi conosce la Sardegna sostiene che gli indipendentisti non si stanno spendendo più di tanto, perché non hanno digerito il siluramento di Solinas e perché non si sono mai sentiti di destra, essendo appunto fortemente autonomisti. Occorre fare in modo che il nord sassarese voti un cagliaritano, in una regione dove il campanilismo e l’orgoglio territoriale sono parte del dna di ogni elettore, bisogna convincere Nuoro, di solito decisiva, a non votare a sinistra, dove spesso pende. Infine c’è il Cagliaritano, un terzo degli elettori dell’isola, il cui voto sarà un referendum sul gradimento dell’operato come sindaco di Truzzu, il quale aveva un piano di sviluppo ambizioso per la città ma che non ha avuto tempo di realizzare per intero. Questi sono i nodi sardi. Se non dovesse andare bene, sarebbe un campanello d’allarme da non sottovalutare per la maggioranza di governo, e soprattutto per il premier, che sul candidato governatore ha avuto la prima e l’ultima, inappellabile parola.

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