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Giordano Tedoldi: l'industria delle dispense dello studente Enrico Fermi, tre esami al giorno

di Giordano Teodoldi sabato 24 febbraio 2024

4' di lettura

La giovinezza del genio, parola abusatissima che gratifica spesso effimere mediocrità, emerge vividamente dalla recentissima scoperta delle dispense universitarie intitolate: Prof. Umberto Sborgi. Lezioni di Chimica Fisica a cura degli studenti E. Bovalini ed E. Fermi. Anno accademico 1920-1921. Il rinvenimento delle 320 pagine, senza indice (ma ricostruito dai paragrafi e sottoparagrafi) è stato fatto da Enrico Bagni presso l’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, a Roma. Bagni le ha individuate dopo aver letto una lettera del dicembre 1919 di Enrico Fermi, da un anno allievo della Normale di Pisa, al suo ex compagno di liceo a Roma (l’allora “Umberto I”, oggi “Pilo Albertelli”) Enrico Persico: «In quest’anno tra le altre cose mi sono dato all’industria delle dispense [...] sono di fisica sperimentale [...] io le detto ed un altro si occupa di scriverle e di stamparle; i guadagni sono divisi a metà».
 

STRAORDINARIO
Nessuno sapeva che il giovane normalista Enrico Fermi (entrato diciassettenne nell’allora “regia” Scuola Normale, sbalordendo tutti i professori al concorso d’ammissione, i quali dopo avergli dato il massimo dei voti in tutte le prove si rammaricarono che il regolamento non prevedesse “il plauso della lode”) si mantenesse con “l’industria delle dispense”, né che Enrico Bovalini (1900-1977) valente chimico e successivamente caposcuola della disciplina all’ateneo senese, fosse suo compagno di studi e socio paritario della suddetta “industria”. Ma come ha annunciato giovedì lo stesso Bagni nella conferenza stampa presso l’Accademia dei Fisiocritici di Siena, le ricerche sulla dispensa hanno portato alla luce altre preziose informazioni sul giovane Fermi, come tutto il suo curriculum accademico, con i voti e le commissioni d’esame. Vediamone alcuni, tanto per misurare cosa sia davvero il genio (e ricordando preliminarmente che Fermi si diplomò al liceo classico Umberto I con un anno di anticipo, risparmiandosi completamente l’ultimo anno: sapeva già tutto e di più): il 24 giugno 1919 Fermi, alle otto di mattina, dà tre esami: analisi infinitesimale, geometria analitica, analisi algebrica; voto: tutti 30 e lode. Saltiamo un paio di altri 30 e lode, e veniamo ai due esami del 5 luglio 1920, alle 15: chimica inorganica, 30 e lode; chimica organica, 30. Ancora due esami il 30 giugno 1921: geodesia teoretica alle 9, e chimica fisica (l’argomento della dispensa ritrovata) alle 16: due trenta e lode, va da sé. Il 27 giugno 1922 un altro tour de force (per i parametri di uno studente normale): alle 8 un 30 e lode in analisi superiore; alle 9,30 un trenta e lode in meccanica superiore. Quindi, due giorni dopo, la grave onta – su cui in seguito Fermi a lungo scherzerà – del 24 in disegno a mano libera, presto riscattata il giorno dopo dal trenta e lode in esercitazioni di fisica.
 

L’ABILITAZIONE
Il 4 luglio 1922 (e non il 7, come riporta la voce nel dizionario biografico Treccani) il ventenne Enrico Fermi sostiene l’esame di laurea alla Regia Università di Pisa con una tesi sui raggi X, del 7 luglio invece è l’abilitazione in fisica alla Regia (tutti questi “regia” ovviamente saranno spazzati via dal referendum del ’46) Scuola Normale Superiore di Pisa con il massimo dei voti (50 e lode), presentando una tesi sul calcolo della probabilità e sue applicazioni. Questo quadro della vita accademica di Fermi a Pisa, dove i genitori (che nel 1915 avevano perso traumaticamente un figlio, il fratello maggiore di Fermi, Giulio, nel corso di un’operazione per un ascesso alla gola; episodio che, si dice, con tenerezza aneddotica, abbia spinto Enrico a tuffarsi negli studi, ma più realisticamente agiva su un genio clamoroso che sarebbe emerso comunque) lo avevano lasciato andare con riluttanza, non fa che perfezionare il quadro di un intelletto fuori del comune che già sui tredici anni lo portò a trovare nel mercato di Campo de’ Fiori (allora un vero mercato, non l’orrore turistico odierno permesso da amministrazioni neghittose) un trattato di fisica matematica, in latino, pubblicato a Roma nel 1840 dal gesuita Andrea Caraffa, e a studiare quel bizzarro e ovviamente datato ritrovamento- datato, ma non privo di ingegnose finezze e di bellezza argomentativa - come un normale libro di testo. E si capisce che la dispensa di Fermi, da lui dettata col suo inconfondibile stile no-nonsense come dicono gli anglofoni, cioè diretto, chiaro, senza inutili ghirigori e sfoggi di erudizione, fu in un certo modo una tappa di quella fondamentale autoistruzione – che prevede anche il farsi i propri libri, sia pure con la scusa di farne una “industria” i cui prodotti smerciare agli studenti comuni –tipica dell’autodidatta, altra caratteristica del genio.

Si ricordi anche che, arrivato a Pisa, il direttore dell’istituto di Fisica, Luigi Puccianti, chiese con modestia ammirevole al diciassettenne Enrico (che ancora non aveva sostenuto nemmeno un esame ma solo la prova d’ammissione all’università) di poterlo consultare su questioni attinenti alla sua materia. Dopo la laurea a Pisa, Fermi torna a Roma, crea il suo gruppo di lavoro (i famosi “ragazzi di via Panisperna”) e prosegue la sua carriera fino alla gloria del Nobel, nel 1938, per la dimostrazione dell'esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti dal bombardamento di neutroni. La luce del genio si spense prematuramente con la morte a Chicago nel 1954, ma mai, forse, brillò così incandescente come quando si manifestò per la prima volta negli anni di apprendistato, anche nella voce sicura, sapiente, mirabilmente semplice della dispensa ritrovata. 

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