Leonardo Sciascia fu lo scrittore più elegante e colto del nostro secondo Novecento. Il più francese tra gli italiani, il più italiano tra i siciliani. Razionalista e investigatore dell’oscuro, egli più che ombreggiare, lumeggiava. E illuminando il quadro della storia del nostro Paese ci rivelò, in un articolo pubblicato dal Corriere della Sera nel 1987, l’esistenza dei «professionisti dell’antimafia». Seguirono polemiche feroci, scomuniche dal campo sinistro, incomprensioni strumentali (sulla citazione di Paolo Borsellino), ma quel che Sciascia raccontò (e pre-vide) fu la parabola di successo di quelle sagome che si iscrissero alla giostra retorica per cavalcare lestamente la lotta alla mafia, fare carriere veloci, riverite dal notabilato, applaudite dalle scimmiette ammaestrate del conformismo che presto sarebbe diventato un mantello per coprire menzogna e mediocrità.
Posata la polvere, quanto ci manca Sciascia. Il tempo, sempre galantuomo, ha detto che aveva pre-visto giusto. La cronaca surreale della “rivolta” del Partito democratico di Bari, Emiliano e Decaro in fase di «vibrante protesta» (e quanto ci manca anche Faber, De André) contro l’attività del Viminale sulle infiltrazioni nel Comune è un esempio di questa collaudata filosofia degli intoccabili. Dichiararsi anti-mafia garantisce l’immunità dalla critica e naturalmente funge da dissuasore perfino di quelli che si definiscono “doverosi atti istituzionali”. È uno scudo usato da varia umanità, catalogabile secondo ordine di comparizione nei talk-show: magistrati autori di inchieste sprofondate nel nulla, personaggi in cerca di una scorciatoia per la celebrità, intellettuali a prescindere dalla infima qualità dei libri stampati, giornalisti che hanno un rapporto inesistente con le notizie impaginate e la grammatica, commentatori con il volto austero e la morale al portatore.
Il pantheon è indubbiamente pittoresco, Sciascia ne avrebbe riso, forse ne avrebbe fatto soggetto clownesco di un pamphlet. D’altronde, per non piangere non ci resta che ridere del quadretto a cui abbiamo assistito, sempre la penultima rappresentazione della compagnia teatrale che si esibisce nelle piazze italiane: siamo arrivati alle chiacchiere con la mafia rivelate da un magistrato-politico del Pd su un palco di comizianti dell’ovvio anti-mafioso che protestano contro un’istituzione dello Stato che per mestiere fa la lotta alla mafia.