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Pietrangelo Buttafuoco: evitiamo di guardarla in faccia, ma la morte rende più vera la vita

di Pietrangelo Buttafuoco mercoledì 1 maggio 2024

4' di lettura

La morte è un fatto naturale frettolosamente nascosto sotto il tappeto del disbrigo sanitario. Un fatto – ed ecco Ma io ti ho sempre salvato, l’ultimo libro di Luciano Violante – che non spaventa gli uomini saggi e risolti. E però è quel fatto in sé- il morire- che atterrisce i nichilisti per i quali, ben che vada, alfa è il nulla e omega è il niente. È anche una giostra, la morte - la ruota di Shiva - maschera e nomos della vita per dirla con Violante che sul tema tutto di grandezza e miseria dell’umano ha scovato anche una parodia del Fantacalcio.

Pur sempre è tomba la radice d’etimo della tombola e c’è allora il Fantamorto ovvero “il campionato dei vivi morenti” su cui l’azzeccare la morte di qualcuno alza la posta là dove il defunto risulti essere una sorpresa pur nella certezza delle certezze, e cioè che non si esce mai vivi dalla vita. Con una madre – forse “sbagliata”, si chiama Marina De Angelis – che sempre e comunque riesce a salvarlo e poi con una moglie, Giulia, oltre mezzo secolo di vita insieme che se ne va lasciandolo nella sofferenza senza tregua della solitudine, il salvato Luciano Violante decifra il proprio destino.

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DOLORI IMPARAGONABILI

Si vive la morte perché è pur sempre strumento del proprio destino. I lutti personali dell’autore – nella loro scarna essenzialità del racconto commoventi – rivelano due dolori imparagonabili. L’uno sofferto dal bambino e dall’adolescente di un tempo, al limite dell’estraneità con la madre, faticosamente ricostruito nell’età adulta; l’altro riguarda l’amore coniugale profondo, nutrito di grande complicità e stima, dove il giorno comincia col caffè a letto – quando si è insieme – e si chiude con una telefonata quando si è lontani.

Con l’una e l’altra tornate all’Eterno, con un ma messo a modo d’apostrofo proprio della dichiarazione d’amore – «Ma io ti ho sempre salvato» – il maestro giurista, celebre magistrato, già presidente della Camera dei Deputati, parla alla morte nel riferirsi alla vita. Ma io ti ho sempre salvato, edito da Bollati Boringhieri, svela nel sottotitolo- La maschera della morte e il nomos della vita - il cuore della questione che nel nostro orizzonte mentale è solo un tabù. Violante che sa guardare in faccia la vita ne Le mie morti, ultimo capitolo di questo saggio – quando parla della madre e di Giulia De Marco, sua moglie – fa resoconto di una ricerca incessante, mai conclusa, su sé stesso. Ed è un’indagine tutta di fede in quella sacralità laica che «attiene a ciò che non può essere messo in discussione, perché merita intangibilità e rispetto».

Della morte di cui non si parla, del morire che si preferisce non saperne – esorcizzandone l’attesa – con Hans Georg Gadamer, Violante scrive: «Noi siamo viandanti sul confine tra l’aldiqua e l’aldilà». Il tema ineludibile del rapporto tra bene e male – consapevoli che il male è dentro ciascun individuo e che grandi sono le responsabilità della politica – è fuso al fluire della vita. L’uomo è capace di innalzarsi a vette sublimi e di sprofondare nel gorgo più abietto: «Non ti ho fatto né celeste, né terreno, perché di te stesso ti plasmassi» – così la voce di Pico della Mirandola – «potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti o secondo il tuo volere rigenerarti nelle cose superiori che sono divine». Lasciare un segno del proprio passaggio sulla Terra è la possibilità che è nelle mani di ciascun essere umano, qualunque sia il perimetro della propria esistenza, anonima o rinomata.

L’ambizioso progetto che sta a cuore all’uomo che ha dedicato la sua vita alla magistratura prima e alla politica dopo - e alla ricerca sempre - è quello di ridare un nuovo spessore alla politica, oggi schiacciata dal primato dell’economia, dellafinanza e dall’individualismo. Se le migrazioni di popoli hanno sempre attraversatola storia, oggii nuovi diseredati chiedono a gran voce di barattare la fuga dalle proprie terre con una vita almeno dignitosa. La vita è sacra ma per questi esseri umani la vita «è impura, è quella dei senza diritti, dei corpi nudi» che non si vedono riconosciuto alcun diritto.

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DETERMINAZIONE E SPERANZA

Una governance ambiziosa deve saper mettere in campo progetti di lungo respiro, attraverso quelle che Violante definisce biopolitiche: sono quelle che riguardano formazione, salari, asili,famiglia,in una parola quel welfare che dovrebbe poter migliorare la qualità della vita dei cittadini, senza dimenticare che le scelte politiche hanno sempre un potere determinante sulle comunità in cui sono chiamate ad agire e a concretizzarsi. Un potere sulle vite che può portare morte, come danno collaterale. E qui gli esempi davvero si sprecano. Se unafedeViolante ha,è quella dell’accettazione dellafinitezza umana capace «dilasciare a Dio il posto di Dio». E cioè trovare dentro sé stessi la determinazione sempre sorretta dalla speranza,anche neimomenti più duri e difficili, per affrontare e risolvere i problemi. Quell’io ti ho sempre salvatoèil contrassegno per eccellenza della questione umana. Il saper far vivere la vita che ci è stata trasmessa.

Violante ricorda che in spagnolo esperar significa sperare ma anche attendere. Ed è un attendere non passivomafiducioso nell’impegno e nella realizzazione di progetti che dovrebbero poter contare su unlavorointellettuale capace di orientare e trovare una mediazione nelle questioni epocali che richiedono soluzioni condivise, al di là dei propri differenti punti di vista. Post scriptum Luciano Violante è, per chi scrive, un amico carissimo per tanti motivi fratello e per altrettantiancora,maestro. Lavorare con luiè blasonee privilegio soprattutto quando del significato d’attesa dell’esperar –esperito nel senso profondo del dolore e delle responsabilità – ne facciamo un continuo confronto sempre al di là dei propri differenti punti di vista. Ed è quello che volge in dolcezza, e salva.

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