In ballo in Liguria non c’è tanto il destino di Giovanni Toti, quanto quello dell’Italia. Le concessioni del porto, la diga da un miliardo per poter ospitare navi extralarge, la conseguente variante di valico dei Giovi, la Gronda autostradale, l’interporto con Alessandria, il quadruplicamento della ferrovia di Genova, la prevista esplosione del mercato immobiliare del capoluogo ligure, che dovrebbe portare a un aumento di cento miliardi del valore complessivo delle case in città, la costruzione di tre nuovi ospedali: sul piatto ci sono investimenti già stanziati per 7 miliardi sul solo Comune e fino a 12 sulla Regione da fondi statali e Pnrr per le grandi opere.
Non parliamo solo del futuro di un uomo, o di una striscia di bellissima terra in riva al mare, con il futuro in bilico tra il ritorno a un bucolico borgo di pescatori di rive poco pescose e quello a essere crocevia di mezzo mondo; parliamo dell’intera Penisola. Solitamente si dice teniamo l’Italia attaccata all’Europa, il progetto in questione invece è molto più ambizioso: farne la locomotiva. Se tutto andrà bene, e se lo zampino delle procure non distruggerà una realtà industriale di livello mondiale, come ha già fatto a Taranto con l’Ilva, entro il 2030, grazie ai lavori di ingrandimento previsti, il porto di Genova, che già oggi, con quasi 5 miliardi l’anno di canoni e imposte su oltre dieci di volume d’affari, è il primo contribuente del Paese, raddoppierà il traffico.
I primi segnali sono allarmanti. Mercoledì il Tar ha bloccato il trasferimento, già previsto, dei depositi chimici da Multedo a Ponte Somalia, in area portuale, accettando il ricorso degli ambientalisti e di alcuni operatori del porto. Poca cosa rispetto a tutto quello che c’è in ballo, ma un chiaro indizio di rallentamento. La diga per ora va avanti. Il 24 maggio è prevista la posa del primo cassone; una cerimonia per la quale fino alla settimana scorsa c’era la gara a essere presenti. Vediamo ora chi ci metterà la faccia. Sicuramente il sindaco, Marco Bucci, che prova a essere impermeabile alla tempesta e si è fatto carico di tenere alta la bandiera e, nei limiti del possibile, l’operatività di Comune e Regione.
La diga è fondamentale per aumentare la capacità ricettiva del porto, così come lo è il tombamento del terminal dato in concessione da Toti ad Aldo Spinelli e oggetto dell’inchiesta. Naturalmente il partito della decrescita felice la osteggia; e vediamo se il Pd, per riprendersi la Liguria, sarà pronto a pagare il prezzo di allearsi con M5S e ammazzare l’Italia, condannandola al medioevo. Genova, per loro, prima dell’arrivo di Toti e di Bucci era il set di un film di Silvio Soldini, Giorni e Nuvole (2007), che qui aveva ambientato una storia che incrociava il decadimento della borghesia con la disperazione del proletariato. Perbacco, un’opera d’arte, ma che dava da mangiare solo ai cinematografari progressisti; non ai camalli. Per convincere l’autorità portuale a concedergli il terminal, l’armatore Spinelli si è impegnato ad assumere decine di operai; e poi lo ha fatto. Non sarà un personaggio inappuntabile, è certamente datato nei modi, e spesso anche sgradevole, ma è italiano ed è intenzionato a usare la concessione per aumentare lo sviluppo del porto.
I suoi rivali, quelli non favorevoli alla diga, sono quelli della Psa, che controllano il porto a Voltri dai tempi in cui presidente della Regione era il piddino Claudio Burlando, e hanno i referenti a Singapore. Poi a Vado Ligure c’è la Cosco, cinese. Se c’è un peccato di Toti, è aver dato retta solo a Spinelli e non a tutti gli armatori italiani, naturalmente in concorrenza tra loro, ma che un amministratore deve parimenti accontentare, da Grimaldi, a Messina, agli Aponte. La magistratura fa il suo lavoro, si dice. Ma potrebbe anche farlo a testa alta, nel senso con lo sguardo ampio, oltre la banchina.
L’inchiesta va avanti da quattro anni: se ci sono problemi, sarebbe stato rispettoso per gli investitori farli risaltare subito. Qui ci sono imprenditori che si giocano miliardi, non noccioline o poltrone, e sono miliardi che avrebbero un ricasco favorevole nelle tasche di tutti gli italiani. Tenere un’inchiesta per oltre tre anni e poi tirarla fuori a spicchi è utile agli inquirenti, che così hanno in pugno un’intera classe politica e industriale, intercettatata all’infinito. Possono scegliere chi fare andare sui giornali, e quindi uccidere, e chi no. Però dopo questo lavoro di pulizia cosa resta? Per togliere la polvere dallo sgabuzzino, si rischia di mandare a fuoco salotto, cucina e camere da letto...