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Daniele Capezzone: la sinistra dalla crisi isterica all'euforia folle. E il doppio turno diventa baluardo della democrazia

di Daniele Capezzone mercoledì 26 giugno 2024

4' di lettura

Servirebbe un’equipe di psicologi per venire a capo – missione complicata, me ne rendo conto – della delicatissima condizione nervosa del Pd, che transita dalla crisi isterica accompagnata da indignazione permanente (come stato emotivo ordinario) a momenti di frenetica e immotivata sovreccitazione. Insomma, la fase down è – insieme – lagnosa e rabbiosa, mentre la fase up è incomprensibilmente euforica. E ciò che sgomenta è la repentinità del passaggio dall’uno all’altro stato: sintomo chiaro del fragilissimo equilibrio del paziente.

Ieri era il giorno dell’up, e allora ecco una Elly Schlein completamente sopra le righe, una specie di versione femminile del Marco Tardelli che grida al Bernabeu dopo il secondo gol alla Germania nel 1982. Schlein però vira sul tennis, alza la voce per farsi coraggio, e urla per una «vittoria tennistica» nei ballottaggi «finita 6-0 per il Pd». Boom.

Come osservava ieri Mario Sechi, la sinistra ha indubbiamente registrato una vittoria a Campobasso (citiamo un caso per tutti) e in altri centri. E la destra farà bene a interrogarsi sulle sue ricorrenti difficoltà nei comuni capoluogo, così come – su un altro piano – rispetto al voto giovanile. Ma, purtroppo per la sinistra, domenica prossima da Campobasso ci si sposterà a Parigi, e non sappiamo cos’avranno da festeggiare i progressisti di tutta Europa. Staremo a vedere e ne riparleremo.

SU E GIÙ
Ma – ecco il passaggio improvviso dall’up al down – non si fa in tempo a rimanere stupiti per l’urlo vittorioso di Schlein che già si ricomincia con la lagna indignata. Motivo del contendere?

Il fatto che il centrodestra, con una trentina di annidi ritardo, si sia accorto che i ballottaggi non siano convenienti per gli elettori conservatori e liberali. E la sinistra, che evidentemente già pensava di rifilare agli avversari il “pacco” di una legge elettorale nazionale a doppio turno, si è subito messa sulle barricate contro Ignazio La Russa, “colpevole” di aver lasciato a verbale una constatazione piuttosto evidente.

Morale? È ripartita la Schlein in versione lamentosa («Quello di La Russa è il riflesso di chi scappa con il pallone quando perde»). E, a seguire, si è scaricata sui social e sulle agenzie una valanga di dichiarazioni di prime-seconde-terze file della sinistra (tutte indignate e in crisi isterica, come da copione), per attaccare in radice la stessa legittimazione degli avversari a pensare-parlare-respirare.

Cito un caso per tutti, anche con una punta di stupito dispiacere. Mi riferisco al senatore Filippo Sensi, che ricordavo spiritoso e acuto, oltre che già brillante e potente capo della comunicazione di Renzi triumphans, e che oggi straparla di pericoli per la democrazia come se fosse Marco Furfaro: «Guardate che l’affondo sul ballottaggio non è un fuor d’opera, una scalmana, ma un piano.
Che va con premierato, secessione, attacco alla magistratura. Tutto insieme. A questo siamo di fronte. A questo ci opponiamo. Questo dobbiamo sconfiggere nelle urne, in Parlamento, nel Paese».

Siamo sempre lì, all’eterno ritorno del sempre uguale. Mentre alla destra qualcuno dovrebbe rimproverare di fare troppo poco (e troppo lentamente), perfino le teste più lucide della sinistra dipingono il gabinetto Meloni come una junta militare argentina di fine anni Settanta. Il che è del tutto senza senso. O meglio: un senso perverso c’è. Si tratta di precostituire le condizioni per un’ammucchiata, per un caravanserraglio, per un Cln che vada da Fratoianni a Calenda, e che usi gli spauracchi dell’autonomia, del premierato, della riforma della giustizia come pretesti per una mobilitazione confusa e ostile.

NESSUN DIALOGO
Ciò – nella logica allucinata dei perenni civil warriors – dà il tono all’opposizione da condurre: nessuna collaborazione è possibile, nessun reciproco riconoscimento di legittimazione è immaginabile, perché – segnatevelo, se no rischiate di dimenticarlo – la democrazia è in pericolo. In questo modo, ogni proposta politica dell’avversario risulta marchiata di infamia. E così il generatore automatico di anatemi è attivato: il che risolve alla radice l’eventuale fatica di esaminare proposte e provvedimenti nel loro effettivo contenuto. A quel punto, infatti, la scomunica preventiva ha già chiuso la discussione.

E qui scatta la corsa all’ammucchiata. Come si fa a nascondere le profonde differenze che esistono dentro la sinistra (sull’atlantismo, sulle grandi opere, sul trattamento dei rifiuti, per citare solo tre esempi)? Si rende necessaria una ricerca un po’ disperata delle scorciatoie. Se non hai programmi e obiettivi chiari, puoi solo trasformare il nemico in “mostro”. Se sei in cerca di una saldatura di opposizione tra movimenti eterogenei, se non hai la robustezza per una proposta forte e autonoma declinata in positivo, allora l’antifascismo (rectius: la descrizione dell’avversario come marea nera da arginare) diventa un refugium peccatorum naturale, un approdo facile facile.

Peccato che sia tutto farlocco, perché – diciamocelo – nemmeno a sinistra credono che Antonio Scurati sia una sorta di terzo fratello Rosselli perseguitato dal regime, o che Ilaria Salis sia una staffetta partigiana della nuova resistenza. Però tenteranno di raccontarcelo.

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