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Sallusti: ora scoppia il panico tra i democratici già in crisi per Biden

di Giovanni Sallusti lunedì 15 luglio 2024

Joe Biden

4' di lettura

I media di riferimento, che ormai danno espressamente la linea al Partito Democratico (a cominciare dalla necessità fisica del siluramento di Biden), l’avevano capito subito. Non a caso i primi titoli di Cnn e Washington Post sono stati un esempio di surrealismo giornalistico, un tentativo estremo di sminuire l’ultima ora: “Trump è caduto”, “Trump è scappato dopo forti rumori”, Trump è scivolato e via sminuendo. Un tentativo di spostare un po’ più in là la soglia dell’Ineluttabile, la notizia che cambia il piano della campagna elettorale, per ovvia subordinata, visto che a cambiare è anzitutto il corso della storia americana.

Lo sa anche Joe Biden, che è poco presente a se stesso ma tutt’altro che a digiuno di codici storico-politici made in Usa: sa che prima giocava una partita da sfavorito, adesso l’altro, l’avversario, il Nemico, è in un altro campo di gioco, è tutt’uno con la bandiera e con la nazione. Forse per questo nella nottata terribile, dopo aver espletato l’imprescindibile telefonata di solidarietà, andava in diretta tivù a dire: «Tentato omicidio? Ho un’opinione ma non i fatti, meglio aspettare i fatti». Virgolettato da un lato insinuante e dall’altro fuori sincrono, è già accaduto tutto Sleepy Joe, il tuo sonno è il sonno della ragione americana e può generare mostri, perfino che sparano.

Per quanto appisolato, il presidente ha la percezione che così non funziona, che deve provare a presidiare l’unità nazionale almeno formalmente, e infatti nella serata italiana di ieri ha convocato una conferenza stampa. Dove però non è riuscito a muovere un passo dall’ovvio, e l’ovvio lo riduce a testimone del dramma dell’altro, il Protagonista per eccellenza, da quando non è stato ucciso. «Ho avuto una conversazione breve ma intensa con Donald Trump, sono felice che stia bene e prego per lui». Un testimone, di nuovo, poco sveglio: «Non c’è posto per la violenza politica negli Stati Uniti». Invece c’è, da ieri è cronaca, e se già un leader dovrebbe avere il polso di ciò che può accadere, è imperdonabile che non realizzi quel che accade.

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INDAGINI IN CORSO

Dopodiché si involve in banalità procedurali (del genere «lasciate fare all’Fbi il suo lavoro») che hanno impatto retorico sotto zero, assicura di aver «dato mandato al capo dei Servizi segreti di rivedere tutte le misure di sicurezza» nonché di aver «ordinato un'indagine indipendente sull’operato degli apparati», per chiudere sulla «necessità di stare uniti come Paese per evitare che accada di nuovo in futuro». È tutto un inseguire, un perdersi in excusatio sospette per ritrovarsi in tautologie inutili, intanto il vero leader sta preparando la convention di Milwaukee, dovrà potrà affondare la parola nel sangue versato.

Anche Barack Obama ha chiaro lo slittamento irreversibile che quello sparo ha impresso alla realtà, e quindi anche alla sua sorella minore, la narrazione. Forse lo sa meglio di tutti, e infatti ha provato subito su X a confondere e sviare: «Anche se non sappiamo ancora esattamente cosa sia successo, dovremmo essere tutti sollevati dal fatto che l’ex presidente Trump non sia stato gravemente ferito». No Barack, sappiamo tutti esattamente cos’è successo perché, come chiunque nel mondo, abbiamo visto quella foto, che poi è stata una straordinaria intuizione del leone ferito. Donald Trump che si fa largo tra gli uomini del Secret Service tutti intorno a lui, mostra il pugno fiero, alza il volto sfregiato e proprio per questo ieratico, non più divisivo, verso il suo pubblico, il suo elettorato, la sua America, mentre dietro di lui sventola immacolata, assertiva, una bandiera a stelle e strisce. Se, come voleva il grande filosofo Ernst Cassirer, l’uomo è anzitutto un animale simbolico, in America lo è doppiamente. Per qualunque americano non risieda nelle enclavi liberal, diciamo l’isola di Manhattan, la baia di Santa Monica e poche altre, è diventata subito la fotografia del comandante in capo ferito ma non sconfitto, anzi intento a rialzarsi e a indicare ancora l’orizzonte. È un ruolo che Biden non incarna più nemmeno nello studio amicale della Cnn, l’altro lo ha sfoggiato sotto il fuoco.

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KO SIMBOLICO

È un ko simbolico definitivo, che separa definitivamente i piani, le storie, i destini. Quel fotogramma si è tramutato nell’istantanea stessa dell’America, ed è questa consapevolezza che spiega la crisi di nervi democratica. Di cui è un esempio la cancellazione del viaggio presidenziale in Texas, che doveva avvenire in questi giorni. È sempre più ossimorico fare campagna, per Joe Biden. Ma è anche sempre più difficile sostituirlo, per i gerarchi dem: chi vuole schiantarsi contro l’eroe repubblicano sopravvissuto all’attentato? Forse, rimane davvero solo la perdente dichiarata, la vice Kamala Harris. Intanto l’America è quella foto, e nessuno di loro può farci niente. Per questo rosicano terribilmente.

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