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Lorenzo Cafarchio: Chuck Palahniuk, la satira horror ha abbattuto il ponte tra abisso e credenza

di Lorenzo Cafarchio mercoledì 14 agosto 2024

3' di lettura

Where is my mind? Where is my mind? Il brano dei Pixies ha reso immortale la scena finale di Fight Club. Gli attori Edward Norton e Helena Bonham Carter mano nella mano osservano il capitalismo esplodere davanti ai loro occhi. «Mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita», dice il protagonista della pellicola a Marla Singer. Ma non sono queste le righe dove narrare della dualità di Tyler Durden, ma di quella di suo padre, Chuck Palahniuk, sì.

Lo scrittore nato a Pasco, nello Stato di Washington a 300 chilometri da Seattle, nel suo primo romanzo - pubblicato nel 1996 e divenuto film di culto nel 1999 con la regia di David Ficher - ha creato un immaginario figlio del grunge e sfociato in quella generazione che è imperversata all’inizio del duemila nel G8 di Genova. E che sempre a Seattle, tra il 30 novembre e il 4 dicembre 1999, ha visto i Black Bloc lanciarsi, come in uno stage diving, sulla scena del millennium bug. Palahniuk ha tagliato in due il tempo dei due millenni con testi come Survivor, Soffocare, Diary, Cavie, Gang Bang e decine d’altri tomi e racconti. E adesso, in Italia per Mondadori nella collana Strade blu, è tornato in libreria con Non per sempre, ma per ora (312 pp.,19 euro) grazie alla traduzione di Gianni Pannofino.

In un’intervista, pubblicata qualche giorno fa sul Corriere della Sera, Pietrangelo Buttafuoco dice: «I codici oggi sono frantumati, c’è uno sciame di voci e sensibilità diverse». Prosegue nella disanima. «Alla fine degli Anni 40 un capolavoro letterario come Il cielo è rosso di Giuseppe Berto poteva essere riconosciuto tale perché c’erano “gli occhiali” del Neorealismo. Oggi è difficile guardare un’opera attraverso codici condivisi». Palahniuk, ecco, ha saputo trovare nel nichilismo di questo tempo la fonte dell’individuo. E il soggetto può completarsi nella comunità o perdersi nel tramonto dell’Occidente. Fight Club inchiostro e cinepresa hanno saputo creare un vero e proprio movimento sotterraneo ha mosso le energie di una generazione che ha fatto del “non fare lo stronzo con noi” la propria bandiera.

Quindi, quasi trent’anni dopo ci troviamo a leggere di due fratelli Otto e Cecil, quest’ultimo la voce narrante del tomo, cresciuti nella campagna del Galles dove «l’omicidio è il business di famiglia». Smarriti tra le pagine non riconosciamo più i codici condivisi tra noi e lo scrittore. I due consanguinei solleticano serial killer, li sfidano, hanno un rapporto morboso con la Mamma, il Nonno per non parlare della servitù che accudisce, malgrado loro, la casa dove tutto si sviluppa. Ma soprattutto non perdono tempo.

Oltre a sfogare i loro istinti omicidi tra un capitolo e l’altro fanno sesso tra di loro. Dai Pixies passiamo a Carmen Miranda che canta Chica Chica Boom Chic. Da Marla Singer all’immaginaria Judy Garland. Qualche tempo fa Mauro Mazza, parlando dei libri finalisti del premio Strega, raccontava di come “in tutti questi romanzi, non spunti mai un accenno all’anima e al divino. Un’invocazione, un grido. O una bestemmia, una denuncia della distrazione di Dio”. Chuck Palahniuk ha saputo raccontare di uomini e donne abbandonati dal padre, smarriti sulla via dell’Altissimo, ma che hanno instaurato un dialogo tra abisso e credenza.

Un misto tra Max Stirner e il grande recluso di Francia Louis-Auguste Blanqui. Però questa volta leggiamo le righe, ma tra di esse non troviamo la chiave di questo tempo. Smarrita? Gettata nel pozzo dell’editoria? Forse finita nel fine a sé stesso? Solo al termine, nella nota che chiude il componimento, troviamo la prece che muove le dita sulla tastiera. «Era tanto tempo che volevo scrivere un libro sulla sofferenza causata dalle dipendenze, sia quella di chi è dipendente sia quella di chi gli sta vicino». Non dovrebbero servire gli auto-annunci nelle intenzioni dell’artefice, ma questa volta tocca accontentarci.

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