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Sandro Iacometti: Green Deal, Confindustria si schiera col governo e spiazza la sinistra

di Sandro Iacometti giovedì 19 settembre 2024

4' di lettura

Dopo il premier britannico Keir Starmer, che ha appoggiato con vigore la linea del governo sui migranti nel nome del pragmatismo, la sinistra deve prepararsi ad un altro choc. Già, perché a mettere nel cassetto pregiudizi e ideologie, dando una scossa agli industriali e al Paese, è arrivato pure Emanuele Orsini. Ponte sullo stretto, green deal, crisi dell’automotive, burocrazia europea: il presidente di Confindustria, ieri alla sua prima assemblea generale a Roma, sfodera dosi di realismo e buon senso abbastanza inaspettate, dando la sensazione di voler affrontare i problemi senza troppa paura di dover fare i conti con le divisioni e gli anatemi della politica. Un po’ di aiuto sull’Europa glielo ha sicuramente fornito Mario Draghi, che ha recentemente sdoganato il diritto di critica a Bruxelles, fin ad ora circoscritto a chi voleva beccarsi l’accusa di pericoloso reazionario sovranista, e anche un po’ neonazista. Ma nella relazione del numero uno di Viale dell’Astronomia c’è di più.

C’è l’adesione convinta al nucleare, che in Italia è ancora visto come un via libera alla bomba atomica, come fonte strategica per la transizione ecologica, il sostegno al Ponte di Messina, che per sinistra e ambientalisti e come costruire la Morte Nera (ogni riferimento a Raimo e Valditara è puramente casuale), come infrastruttura imprescindibile per collegare gomma e ferro, e l’allarme sull’invasione cinese che rischia di spazzare via la filiera dell’auto, cosa che, sommata al Ponte, lo piazzerebbe senza indugi al fianco di Matteo Salvini. Ma sarebbe un errore affibbiare frettolosamente a Orsini etichette politiche. Per carità, a parte l’apprezzamento di Riccardo Magi (+Europa) per il pragmatismo, la sinistra non si è sperticata in applausi (dichiarazioni di Elly Schlein, seduta in platea, non pervenute). E anche i sindacati, malgrado le aperture del presidente di Confindustria ad una nuova stagione di confronto e dialogo, hanno reagito con discreta freddezza.

Ma quello di Orsini non è un endorsement al governo o al centrodestra. È semplicemente la presa d’atto che l’industria è in forte affanno e che, come ha detto Draghi, o si cambia o si muore. Se poi molte delle strategie di cambiamento coincidono con quelle proposte dai conservatori italiani ed europei o con le posizioni espresse dal premier Giorgia Meloni nel suo intervento all’assemblea non è il presidente di Confindustria a doversi fare problemi, ma forse la sinistra politica, sindacale e mediatica italiana, che veleggia sempre più lontana dalla realtà a caccia delle temibili minacce ordite dalla fasciosfera. Orsini non ha fatto altro che chidere «unità e dialogo» e «scelte coraggiose in Italia», sottolineando al tempo stesso le «sfide ciclopiche» da affrontare in Europa. La sua, ha spiegato, vuole essere «una Confindustria dei risultati». E per ottenerli serve «una vera e propria responsabilità collettiva di tutti i soggetti sociali e politici nel nostro Paese».

Perché in Italia, dice, «abbiamo urgenza di mettere in sicurezza alcuni temi chiave e su questi non ci devono essere né divisioni tra schieramenti politici né scontri demagogici». Che non è un modo democristiano per restare nel mezzo, ma un grido di allarme, condito da idee ben precise. A partire dal green deal, il tema dei temi, che, evviva la schiettezza, «è impregnato di troppi errori che mettono a rischio l'industria. La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle». Il salario minimo? Orsini non si sottrae. Non è un problema che riguarda Confindustria, dice, ma la strada giusta è quella di «unire le forze per indicare una via diversa ai troppi settori in cui convivono salari incongrui e irregolarità fiscali e contributive». E per aumentare gli stipendi bisogna riaffermare il «valore sociale della produttività come denominatore di crescita e ricchezza del Paese».

Le idee più nette, e forse anche quelle più in sintonia col governo, riguardano le quattroruote. «Facevamo le auto più belle del mondo, stiamo regalando il nostro mercato alla Cina», dice Orsini, lasciando intendere che darà il suo sostegno in Italia e in Europa per evitare la vendita in Europa si sole auto con motore elettrico dal 2035. La priorità è quella di affermare la neutralità tecnologica. Stesso motivo per cui il presidente di Confindustria ritiene il nucleare «strategico, non possiamo perdere altro tempo».

Appello che trova l’immediata replica del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, secondo cui il governo si è già mosso e sta preparando il quadro giuridico per attivare entro la fine dell’anno il via libera all’atomo. Quanto alla manovra, Orsini apprezza la prudenza di Giorgetti sui conti pubblici, ma chiede anche che sia reso strutturale il taglio al cuneo fiscale, per abbassare il costo del lavoro, perché «gli imprenditori e le imprese, nel libero mercato, nella concorrenza e nella trasparenza, sono il grande motore dello sviluppo e della crescita». Concetto che Giorgia Meloni non fatica certo a condividere. Resta solo da capire dove trovare i soldi. E qui il pragmatismo, purtroppo, non basta.

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