L’uomo che ha dato la scossa al mondo dell’automobile manda in cortocircuito i democratici americani e quelli di casa nostra per l’entusiastico e incondizionato appoggio a Donald Trump. Dall’attentato al tycoon all’accusa di attentare alla democrazia, tutto nello stesso luogo e nella stessa circostanza: comizio elettorale a Butler, Pennsylvania.
Elon Musk è finito nel mirino progressista più e meglio dell’ex presidente dal ciuffo ribelle il 13 luglio scorso quando un proiettile sparato da Thomas Crooks lo ferì all’orecchio invece che spedirlo all’altro mondo. La sparata di Musk sul palco è invece andata a segno nel ventre molle dell’opposizione a Trump, al di là e al di qua dell’oceano, in un vero e proprio show in cui il mega-miliardario che guarda tutti gli altri dall’alto dei suoi conti ha incitato i Repubblicani a non risparmiare impegno ed energie per spingere il tycoon nuovamente nella stanza ovale di Washington, agitando altrimenti il rischio della perdita della libertà di parola, che serve «per avere la democrazia. Trump deve vincere per preservare la Costituzione e la democrazia in America».
AMICI E NEMICI
Molto più di un endorsement: un appello forte a votare e con toni forti, perché l’elezione del presidente degli Stati Uniti a suo dire si deciderà per uno «scarto di voti ridotto». Due pesi e due misure. Se Taylor Swift su Instagram sposa con entusiasmo la causa di Kamala Harris su Instagram perché lei dice «la verità per combattere la disinformazione» si scatena il plauso per l’impegno civico e la difesa dei valori della democrazia; se Elon Musk si schiera sul fronte repubblicano senza stare a usare il fioretto su temi e toni, allora quella stessa democrazia è in pericolo. Forse perché in politica vale sempre il paradosso del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda dell’angolazione, ed è risaputo che una discesa vista dall’alto assomiglia a una salita, come aveva perfettamente colto con filosofia Pippo (proprio quello di Walt Disney, mica un nostrano dispensatore di pillole di saggezza di salotti televisivi).
Che vi fosse un asse di ferro tra l’uomo di Tesla e il candidato repubblicano non era certamente un segreto, e neppure che il suo debutto in un comizio a un mese esatto dalle votazioni, per di più in un luogo emblematico di questa arroventata campagna elettorale, avrebbe scatenato reazioni, che solitamente non ci sono quando i divi di Hollywood escono allo scoperto, purché lo facciano dalla parte opposta; perché solo così si è da quella “giusta”, dei valori, della società civile e della missione salvifica attraverso volti e nomi capaci di spostare o di indirizzare il voto. Nel Belpaese di guelfi e ghibellini, bianchi e neri, Franza o Spagna, quando un esponente del mondo dello spettacolo o della cultura si schiera l’importante è che lo faccia per chi lo incensa e lo spinge come icona, altrimenti non è riconosciuto come intellettuale oppure non ha capito nulla e allora va marxianamente rieducato perché fa andare di traverso il caviale sulla tartina imburrata.
Musk era guardato con simpatia, tranne dagli irriducibili della vetero-sinistra che non perdonano mai né il successo né il danaro, fino a quando ha incarnato il progressista che andava oltre il profitto e poteva essere alfiere conosciuto e riconosciuto della transizione energetica, con la sua fissa dell’auto elettrica che ha cominciato per primo a produrre in serie rendendo davvero universale il genio slavo di Nikola Tesla del quale aveva adottato il nome sul marchio. Poi è diventato meno simpatico quando ha uccellato Tweet e l’ha fatto immediatamente risorgere con quella sinteticissima X, che già faceva venire l’allergia ai post partigiani di casa nostra per l’assonanza storica che certamente Musk non conosce.
ACCUSE STRUMENTALI
Ma nel momento in cui è uscito dal recinto dell’osservato speciale dei dem, mettendosi al fianco di Trump, tutto è cambiato. Ma come si permette l’uomo che sogna di colonizzare Marte (è salito sul palco con la maglietta “Occupy Mars”) di sposare la causa dell’ex presidente che osa persino assicurare che con lui a Washington il 5 novembre sulla Terra non ci sarà la Terza guerra mondiale? Ecco pronte per lui le accuse di conflitto di interesse e di essere un pericolo per la democrazia per lo strapotere economico che mette in campo per far pendere la bilancia dalla parte dell’elefantino.
Già visto dalle parti nostre in sedicesimo, all’amatriciana, quando Silvio Berlusconi alle elezioni a sindaco di Roma dichiarò che se avesse votato nella Capitale avrebbe dato la sua preferenza a Gianfranco Fini invece che a Francesco Rutelli. E così, per non aver espresso l’opinione “giusta”, l’imprenditore di successo per i progressisti divenne immediatamente il Cavaliere Nero che aveva sdoganato i fantasmi del passato e messo a rischio la Repubblica e la Costituzione italiana. Si aprì una nuova stagione storica ma anche di veleni e demonizzazione dell’avversario la cui onda lunga gli è sopravvissuta, a trent’anni da quella contesa. Figurarsi se a Musk poteva andare meglio. L’uomo di Xè stato subito messo in croce nella patria della democrazia, superpotenza un po’ appannata, le cui sorti elettorali però fanno ancora trattenere il respiro al mondo e ne condizionano le scelte un po’ dappertutto.