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Patricelli: la rinascita di Notre-Dame "testimone" della Francia

di Marco Patricelli sabato 7 dicembre 2024

4' di lettura

Victor Hugo l’ha definita «Il cuore palpitante di Parigi» e non era certamente né un modo di dire né uno slogan promozionale del suo romanzo storico pubblicato nel 1831. Notre Dame è il cuore ma anche il corpo e l’anima della Ville Lumière, è la storia che si interseca alla leggenda, è lo spirito religioso che sconfina nella superstizione, è l’ardire dell’uomo che sfida il cielo con le linee aguzze e ficcanti dello stile gotico, è l’inquietante onnipresente sagoma della gargolla (gargoyle) per scaricare le acque delle grondaie che si impone sulle figure angelicate del cristianesimo. La sua costruzione iniziata nel 1163 ha fatto entrare nella lingua francese l’espressione «attendere 107 anni» per indicare un tempo lungo di realizzazione; più pessimistico rispetto al classico «aspettare un secolo», ma niente a che fare con l’italiana «fabbrica di San Pietro» che tende all’infinito. Comunque sia, dalla posa della prima pietra con Luigi VII e Papa Alessandro III, i lavori si protrarranno fino al 1345.

Notre Dame è la cattedrale più antica della Francia, sicuramente tra le più note al mondo, e senza l’eterna Roma potrebbe giocarsi il primato. La sua vita gloriosa e simbolica non è stata immune dalle vicende umane che ne hanno condizionato la storia e l’esistenza. Alla sua ombra si è proiettata la Francia monarchica potenza continentale, quella dei lumi e degli eccessi rivoluzionari repubblicani e anticlericali che ne misero in forse l’esistenza, della grandeur imperiale napoleonica e della rinascita con la restaurazione, e poi due guerre mondiali, gli scampanìi della liberazione nel 1944, l’era di De Gaulle e la contemporaneità fino al maledetto incendio del 2019. Ha visto e ha raccontato, la cattedrale che intimorisce e affascina, dal romanzo al cartoon, dalla cartolina al selfie, dai pochi stupefacenti fotogrammi dell’arrivée du train dei fratelli Lumière al cinema digitale degli effetti speciali, che si è vista scippare il ruolo di simbolo assoluto dalla torre parvenue di Gustave Eiffel. Pietra e legno contro ferro, reliquie e tesori contro le meraviglie della tecnica, restauri architettonici e dei dipinti contro la manutenzione dei montanti e le vernici antiruggine, antico e moderno insieme per Parigi e per quel modo che hanno i francesi di considerarsi sempre al centro del mondo. Rischiò seriamente durante la rivoluzione per i furori iconoclasti contro tutto quello che rappresentava il vecchio mondo.

La ghigliottina tagliava teste a Place de la Concorde arrossata di sangue e Notre Dame arrossiva nel vedersi decadente e decaduta, svilita e motteggiata, saccheggiata e vandalizzata.
Nel 1793 neppure le teste delle 28 statue della facciata sfuggirono alla decapitazione, e poco importava che non fossero affatto, come si riteneva, raffigurazioni dei re di Francia. Delle porte venne fatto scempio, spariranno nel nulla e riappariranno solo nel 1977 per finire nel Museo di Cluny. Quella maestosa creazione dell’ingegno umano, dedicata a Dio, divenne Tempio della Dea Ragione, contenitore per stoccare cereali e viveri, e dagli spazi ne venne scacciato persino lo spirito. Era talmente malandata che quando Napoleone Bonaparte si incoronò imperatore il 2 dicembre 1804, scegliendo Notre Dame restituita al culto da due anni, sontuosi tendaggi e pregevoli arazzi, bandiere e drappi, coprirono le pareti sfregiate dal tempo e dagli uomini.

Poi l’arte di Jacques-Louis David ci aggiunse bellezza e magnificenza, colore e sentimento negli stereotipi neoclassici che non avevano nulla a spartire con la severità onirica del gotico. Napoleone cadde e la cattedrale resistette agli scossoni che attraversavano la Francia e l’Europa, ma la sua salvezza e la sua redenzione la dovette a Victor Hugo. Il romanzo «Notre-Dame de Paris» riaccese le luci sullo splendore che era, non su rughe e cicatrici anche profonde. Lo straordinario successo del capolavoro letterario ottocentesco permeò quello architettonico medievale rimettendolo al centro dell’attenzione. Eugène Viollet-le-Duc disegnò e ridisegnò e nel 1834 venne finalmente aperto il cantiere. Ci mise di suo, l’architetto, inventandosi gli animali mostruosi del tetto che non sono frutto dell’immaginazione del Medio Evo. È una leggenda che molti secoli prima le porte laterali abbellite da cerniere e serrature artistiche erano state opera del diavolo al quale il giovane fabbro Biscornet aveva venduto l’anima pur di ottenere di riuscire a terminare l’immane lavoro in tempo; è storia invece che il giorno dell’apertura i portali rifiutarono di aprirsi e furono aspersi con l’acqua santa per propiziare l’aiuto divino. Forse sarà un caso, ma Biscornet non sopravvisse molto all’evento, mentre gli sopravvisse il segreto di fusione e di lavorazione, violato solo dodici anni dopo la ricostruzione nel XIX secolo. L’incendio del 2019 ha piagato la cattedrale ma grazie anche ai vigili del fuoco ha risparmiato gran parte dell’edificio e pure la reliquia della corona di spine di Cristo. Per cinque anni nessuno ha ascoltato il possente suono della campana Emmanuel, 13 tonnellate di bronzo, la seconda più grande di Francia, risalente al 1631, che richiede otto uomini per essere azionata in occasione delle grandi festività della Chiesa e degli eventi, come le incoronazioni e la fine della prima e della seconda guerra mondiale. Chi sottolinea che ci sono voluti ben cinque anni per riavere Notre Dame, i francesi ricordano che non sono niente rispetto ai 107 di attesa della tradizione.

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