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Mauro Zanon: Jean-Marie Le Pen, il romanzo della destra

di Mauro Zanon mercoledì 8 gennaio 2025

4' di lettura

Jean-Marie Le Pen si è spento ieri dopo una vita da romanzo, 96 anni di avventure e provocazioni da protagonista del secondo Novecento francese, figura centrale e contoversa della Quinta Repubblica disegnata da Charles de Gaulle, ex paracadutista in Indocina e in Algeria, ma soprattutto padre della destra identitaria d’oltralpe, il Front national, e di Marine Le Pen, erede e leader del nuovo sovranismo. Era ricoverato da diverse settimane in un ospedale di Garches (Hauts-de-Seine), poco lontano da Parigi. «Circondato dai suoi cari, è stato richiamato a Dio questo martedì alle 12.00», ha scritto la sua famiglia in un laconico comunicato. Nato a La Trinité-sur-Mer, in Bretagna, in una famiglia cattolica di origini umili (il padre era pescatore, la madre sarta figlia di agricoltori), a 14 anni subisce il trauma che lo cambierà per sempre: la morte prematura del padre, ucciso da una mina tedesca finita nella rete del peschereccio La Persévérance di cui era il comandante.

Da allora il nome del padre è inciso sul monumento ai caduti di La Trinité-sur-Mer. Jean-Marie viene così adottato dallo Stato francese con il titolo di “Pupillo della nazione”, attribuito agli orfani di guerra. «Quell’evento mi ha profondamente segnato. Ero due volte figlio della Francia, dovevo dunque prestare ancora più attenzione agli affari del mio Paese», ha scritto nel primo tomo delle sue memorie, “Fils de la Nation”, pubblicate dalle Éditions Muller nel marzo 2018. Un altro evento, due anni dopo, segnerà profondamente la vita di Jean-Marie. Nel novembre 1944 chiede al colonnello Henri de La Vaissière di entrare nelle Forces françaises de l’intérieur (Fff), la Resistenza unita sotto il comando del generale de Gaulle. «Ci hanno ordinato di assicuraci che i nostri volontari abbiano più di 18 anni. Sei un “Pupillo della nazione”: occupati di tua madre», gli risponde il colonnello francese, alias “Valin”. Studia dai gesuiti a La Trinité-sur-Mer, che gli trasmettono disciplina e amore per l’arte oratoria, ottiene la maturità a Saint-Germain-en-Laye, e si diploma in Giurisprudenza alla Faculté de droit de Paris.

Dopo gli studi, parte in Indocina, dove la Francia è in piena decolonizzazione. Su Caravelle, l’organo del corpo di spedizione francese, scrive che «la Francia è governata da pederasti come Sartre, Camus, Mauriac». Laggiù, incontra Alain Delon, anch’egli volontario nel corpo speciale dei paracadutisti. Nasce un’amicizia indissolubile, condita di ammirazione e rispetto, che l’attore non rinnegherà mai, anche quando Jean-Marie diventerà per tutti “le Diable de la République”, il più infrequentabile degli infrequentabili. Di ritorno dall’Indocina, deluso dal processo di decolonizzazione della Francia come lo fu più tardi per l’abbandono dell’Algeria da parte di de Gaulle con la firma degli accordi di Évian, si avvicina a Pierre Poujade e alla sua Union de défense des commerçants et artisans.

A 27 anni, diventa il più giovane deputato dell’Assemblea nazionale nelle fila poujadiste, ma nel 1957 abbandona colui che lo ha lanciato in politica per fondare il Front national des combattants, antenato del Front national. Nel 1963, dirige la campagna di Jean-Louis Tixier Vignancour, candidato dell’ultradestra alle elezioni presidenziali del 1965 che era stato avvocato di Céline. Nove anni dopo, nel 1972, Jean-Maire unisce i militanti di Ordre Nouveau e altri gruppuscoli di estrema destra sotto lo stesso nome, il Front national, e sceglie la fiamma tricolore di ispirazione missina come simbolo, con il bleu al posto del verde della bandiera italiana. È l’inizio di una lunga storia politica che continua oggi con un altro nome, Rassemblement national, scelto dalla figlia per dimenticare gli estremismi e gli eccessi del padre e dei suoi compagni di battaglie. Nel 1976, un facoltoso industriale del cemento, Hubert Lambert, gli lascia in eredità il suo impero e la dimora di Montretout.

«Voglio che tu abbia i mezzi finanziari per non dipendere mai da nessuno. So che userai questa libertà per difendere le idee nazionaliste», gli dice Lambert prima di morire: Jean-Marie Le Pen non lo ha mai tradito. Fedele al suo slogan “les Français d’abord”, soprannominato “Menhir” per il suo carattere coriaceo, fra il 1974 e il 2007 si è candidato alle elezioni presidenziali per cinque volte. Il culmine della sua carriera fu raggiunto nel 2002, quando si qualificò inaspettatamente al ballottaggio contro Jacques Chirac.Le Pen ottenne “solo” il 17,9 per cento dei suffragi, ma fu un punto di svolta per la storia della destra identitaria francese, l’inizio della fase di istituzionalizzazione continuata e rafforzata dalla figlia Marine. Con quest’ultima, il rapporto politico si incrinò definitivamente nel 2015, dopo l’ennesima uscita antisemita – le camere a gas definite un «dettaglio della Seconda guerra mondiale». Marine decise di espellerlo dal partito e accelerare in questo modo la fase di “dédiabolisation”. Ieri, ha appreso la morte del padre durante uno scalo a Nairobi, in Kenya.

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