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Lorenzo Mottola: il risveglio tardivo del Pd, dopo gli abusi di Capodanno vuole un "patto" per la sicurezza

di Lorenzo Mottola mercoledì 8 gennaio 2025

3' di lettura

Mentre il sindaco Giuseppe Sala insiste nel suo esercizio di mutismo selettivo sull’indagine aperta dalla procura di Milano per violenze sessuali durante i festeggiamenti del Capodanno in piazza Duomo, tocca ai cacicchi milanesi del Partito Democratico prendere parola e metterci la faccia. Per ora neanche si parla di esprimere solidarietà alla ragazza belga, Laura Barbier, che anche ieri a “4 di sera” ha ripetuto di essere stata assaltata in piazza insieme alle sue amiche da decine di uomini, ma almeno i Dem riconoscono «l’oggettiva gravità dei fatti» e, sorpresa, ammettono che un problema sicurezza in città effettivamente esiste. Pierfrancesco Majorino ieri ha lanciato una proposta: «Servirebbe un patto tra le istituzioni e le forze politiche per una piattaforma di lavoro comune». E si potrebbe iniziare lavorando anche con le forze di polizia, «di cui si dovrebbe ulteriormente incentivare la presenza su strada».

Ora, per chi non conoscesse Majorino, parliamo di un ex eurodeputato e ex candidato alle regionali lombarde (trombatissimo, ma va detto che vincere sarebbe stato un miracolo) e soprattutto di uno dei più probabili contendenti per il posto di sindaco nella Milano post-Sala. La questione si può sintetizzare così: se Sala rappresenta la padella, Majorino è la brace. Come professione dichiara di fare lo scrittore e già più volte questo quotidiano ha colpevolmente ironizzato – ce ne scusiamo, siamo stati molto cattivi – sul valore delle sue opere, per esempio “Togliendo il dolore dagli occhi” e “Dopo i lampi vengono gli abeti” (in uno di questi volumi descriveva anche l’assalto della folla inferocita alla redazione di Libero). Riguardo alla sua credibilità come leader dialogante, invece, parla la recente cronaca. Proprio lui, protagonista del video sulla celebre rissa sfiorata nell’aula del Consiglio regionale della Lombardia con Romano La Russa (per la precisione, il consigliere specifica di non aver messo le mani addosso a La Russa, ma di avergli solo strappato il microfono mentre parlava inveendogli contro). Proprio lui, che definisce le politiche di Giorgia Meloni sull’immigrazione «disumanizzanti», che aveva definito Matteo Salvini «un infame» e «il peggior ministro dell’Interno della storia» e che quando il leader leghista è stato assolto per il caso Open Arms ha commentato solo «continueremo a dare battaglia». Proprio lui, che in campagna elettorale è riuscito a mettersi contro un’intera regione dichiarando urbi et orbi che «la Lombardia non è mica la Calabria», con conseguente rivolta meridionale. Majorino, insomma, di dialogante ha poco o nulla.

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Ma ancora meno, proprio come il suo partito, risulta credibile come paladino della sicurezza. Ora dichiara di voler aumentare le presenze di poliziotti in città, eppure (sempre insieme al suo partito) si era lamentato perfino dei sacrosanti controlli a tappeto effettuati dalla polizia in stazione Centrale sostenendo di essere di una diversa «cultura» (la sinistra aveva parlato di «retate»). Così come si era rifiutato di collaborare ai censimenti dei campi rom, perché non voleva che le famiglie venissero «messe in mezzo a una strada» (il che sarebbe successo solo agli irregolari, in effetti). Per quanto riguarda le sue idee sull’immigrazione, ovviamente, siamo semplicemente agli antipodi del centrodestra. Non porti aperti, ma spalancati. Non ha colpe, sono le sue idee, condivise ampiamente da tutta la tribù di Elly. Resta però un problema: cosa c’è da dialogare sulla sicurezza con chi chiaramente non ha mai ritenuto che sia davvero un problema, se non di «percezione»? Un mistero. 

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