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Sandro Iacometti: Apple torna negli Usa. Ha vinto l'Occidente

di Sandro Iacometti martedì 25 febbraio 2025

3' di lettura

Ci sono due battaglie della sinistra mondiale apparentemente senza alcun legame. Da una parte quella perla tutela dei lavoratori, le norme sulla sicurezza, i diritti dei più deboli, i salari più alti. Dall’altra quella contro il terribile Donald Trump e la sua devastante guerra commerciale. In realtà, c’è un filo rosso che le lega e che, allo stesso tempo, le mette in profonda contraddizione. La notizia emblematica riguarda Apple. Avete presente il colosso mondiale che fa assemblare i suoi telefoni in Cina e India, che cerca in tutti i modi di affrontare le sfide competitive abbattendo i costi e producendo in aree del mondo dove la manodopera è a buon mercato? Ebbene, ieri il colosso di Cupertino, nel cuore della “rossa” Silicon Valley, in California, ha annunciato che il piano di investimenti farà marcia indietro. I progetti prevedevano lo spostamento di buona parte della produzione in Messico. Ora la rotta è cambiata. I soldi, gli impianti e la forza lavoro si incammineranno verso gli Stati Uniti.

Non nella progressista California, patria del wokismo e degli ecotalebani, ma in Texas, roccaforte dei Repubblicani e, guarda un po’, uno degli Stati Usa con i più bassi oneri fiscali. La decisione non riguarda noccioline, ma 500 miliardi di dollari e circa 20mila assunzioni. Questi i numeri del piano che prevede la realizzazione in uno stabilimento a Houston per la produzione di server dedicati a Apple Intelligence. Il gruppo intende inoltre aumentare gli acquisti di componenti da fornitori statunitensi e raddoppierà da 5 a 10 miliardi di dollari la dotazione del suo fondo a sostegno dell’innovazione della manifattura americana. La Mela ha ceduto al ricatto di Trump, che qualche buontempone paragona al Padrino, forse facendo un po’ di confusione fra democrazia e criminalità organizzata? Certo, la scelta dell’ad Tim Cook è sicuramente dovuta alla promessa del tycoon di tagliare le tasse dal 21 al 15% per chi torna a produrre negli Stati Uniti e ai dazi annunciati e poi sospesi del 25% sui prodotti provenienti dal Messico. Ma se di ricatto si è trattato, e la tesi è tutta da dimostrare, i primi a gioire dell’inversione di marcia del colosso tech dovrebbero essere proprio i liberal mondiali. Già, perché la mossa di Apple non è che uno dei primi effetti del terremoto Trump che ridà forza ai valori occidentali. Stipendi migliori, tutele, garanzia, qualità della vita, prodotti certificati, sicurezza, regole certe e tutti i protocolli etici e ambientali tanto cari alla sinistra globale troveranno cittadinanza in una delle più grandi aziende del mondo che, in caso contrario, avrebbe affidato parte del suo business alle incerte e traballanti norme messicane su retribuzioni e diritti dei lavoratori.

Quante volte abbiamo sentito le nostre opposizioni invocare il pungo di ferro contro le delocalizzazioni? Contro le multinazionali ciniche e spietate che spostano le fabbriche in Paesi dove dilaga lo sfruttamento delle maestranze? Non serve un grande sforzo di memoria per ricordare lo spostamento di gran parte della produzione di Stellantis in Nord Africa e nell’Est Europa. Le sinistre sono insorte contro il governo intimandogli di impedire questo scempio, ai danni dei nostri lavoratori, dei principi universali relativi al rispetto e alla dignità degli operai nonché, da ultimo, della lotta al cambiamento climatico, di cui al di fuori dell’Occidente nessuno si cura se non con vuoti proclami che non trovano alcuna rispondenza nella realtà. Ecco, mentre Stellantis continua a produrre i modelli di punta della Fiat in Algeria, Marocco e Polonia, qualche settimana fa John Elkann si è recato da Trump per annunciargli che riporterà 1.500 posti di lavoro nell’Illinois, riaprendo Belvedere e investendo a Detroit, Ohio e Indiana. Per carità, Trump sta facendo i suoi interessi e quelli degli americani. Nessuno lo mette in dubbio. Ma spingere una delle aziende più potenti del mondo a spostare i soldi e le assunzioni dal Messico agli Stati Uniti, non è solo il segno di una rinascita dell’America. È il rafforzamento dell’Occidente, con i suoi diritti, i suoi valori, le sue garanzie. È un allargamento della civiltà. È un esempio che l’Europa e l’Italia, probabilmente, dovrebbero seguire.

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