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Matteo Salvini, il diktat di Zaia e Fontana che non può ignorare: "O così o morte"

di Gino Coala domenica 30 dicembre 2018

6' di lettura

L' anno che verrà è introdotto da un grido pacificamente rivoluzionario. O autonomia o morte! Qualcuno ricorda? C' è stato un referendum il 22 ottobre del 2017. Il popolo sovrano e persino sovranista si espresse al 95% in Lombardia e al 98% in Veneto per conferire molti più poteri alle rispettive regione, sottraendolo in 23 materie al governo centrale. Il tutto sulla base non di un' idea sovversiva, ma obbedendo alla Costituzione, articolo 116. Autonomia secondo la massima gamma disponibile. Leggi anche: Salvini, perché è lui il politico dell'anno: su cosa non può tradire adesso Questo è l' obiettivo non negoziabile che sta in cima ai pensieri di Attilio Fontana e Luca Zaia per il 2019. D' accordo. Autonomia non è una parola affascinante. Cambiamo pure la formula in nome dell' epica: Lombardia o morte; Veneto o morte. Viene meglio in spagnolo, e ci scusi Fidel Castro se gli rubiamo lo slogan, purificandolo dal marxismo: «Patria o muerte! Venceremos!». Diciamo patria consapevoli che siamo fratelli d' Italia, e non si scappa, ma esistono le piccole patrie, dove stanno le radici familiari e dialettali, quelle che unendosi danno vita alla patria grande. Ed è esattamente quello che oggi c' è in ballo. Il fare un' Italia armonica. Così come non si costruisce un' Europa unita asservendo le nazioni a una burocrazia apolide e cosmopolita, allo stesso modo non si può avere un' Italia sovrana se si pretende di omogeneizzarne le differenze sotto la guida della disastrosa dinosauro-crazia centralista basata sul cappuccino e sul si-è-sempre-fatto-così, che trascina ogni ente virtuoso verso lo standard catastrofico delle amministrazioni del Sud. Per questo autonomia è sinonimo di resistenza senza se e senza ma, nella difesa della propria essenza di popoli del Nord che intendono poter così essere una locomotiva più potente per tutto quanto il Paese. Non sono superiori a quelli del Sud, i popoli del Nord, ci mancherebbe. Ma nel campo amministrativo si vorrebbe evitare il contagio dei buchi della cassa comune, e in quello ospedaliero la trasmigrazione dei bacilli della malasanità e delle formiche nei letti. FINORA SOLO PAROLE A Lombardia e Veneto (coalizione di centrodestra) si è aggiunta l' Emilia-Romagna (governatore Stefano Bonaccini del Pd) nella richiesta di «regionalismo differenziato». Anche questa non è una espressione che possa ispirare un Omero. Ma la sostanza è enorme. Non significa soltanto amministrare in proprio, con personale locale, le risorse antiche, ma trasferirle a Milano, Venezia e Bologna, e i risparmi sarebbero reinvestiti in loco. Il governo Gentiloni il 28 febbraio, dopo trattative serrate, ha detto di sì. E ha passato le carte al governo Conte, che doveva semplicemente tradurle tecnicamente in norme. Giuseppino nostro ha detto di si, ma verba volant, scripta invece nisba: non ha firmato niente. Non ha tradotto in disegno di legge da sottoporre al Parlamento, che per l' approvazione dovrà votarlo a maggioranza assoluta, l' accordo raggiunto. In conferenza stampa ha ribadito il concetto. Si farà. È passato un anno, di continui rinvii, e adesso si rinvia un' altra volta al prossimo 15 gennaio. C' è da fare un' altra "istruttoria", non si sa di che cosa però. E di lì un balzo di un altro mese, al 15 febbraio, per l' accordo finale. Chiaro che è un modo per prendere tempo. Ma su cosa? Ma certo: sui soldi, il maledetto denaro, è sempre questione di grana. Il Sud infatti vuole garanzie: che si spostino sì le competenze va quasi bene, ma la torta deve restare suddivisa allo stesso modo. Le Regioni del Nord hanno risposto che non funziona così. Si paga il merito. La Lombardia chiedeva in origine 24 miliardi dei 54 miliardi di "residuo fiscale", ovvero della differenza negativa tra ciò che versa e ciò che riceve da Roma. Il Veneto ne voleva 8 sui 18-20 del suo svantaggio attuale. L' Emilia-Romagna la cifra della "spesa storica". Alla fine le tre regioni del Nord si accontenterebbero in tutto di circa 21 miliardi di euro. Circa la metà. È un riccio posato sulla poltrona di Conte. Per questo aspetta a sedercisi sopra e soprassiede. lo stato dell' arte Lo stato dell' arte è a tutt' oggi questo. 1. Dentro la maggioranza di governo. Salvini è parecchio silenzioso, non sembra aver addentato con la stessa energia la michetta dell' autonomia del Nord rispetto al panino con la Nutella. La situazione infatti è delicata. Due ministri 5 Stelle hanno già detto formalmente di no all' accordo raggiunto tra le regioni e Gentiloni. Sono Giulia Grillo, che capeggia il dicastero della Salute, e il solito Danilo Toninelli, il quale oltre che No Tav, No Tap è pure No Nord, pur essendo cremonese con ascendenze bergamasche. Sa che se la competenza delle infrastrutture e ambiente passa sopra il Po, le strade e i ponti e le ferrovie si fanno. Guai. Dunque in consiglio dei ministri non è arrivata nessuna bozza di legge. I grillini in generale temono di perdere punti nel loro Sud, e urlano contro la «secessione dei ricchi». Di Maio è più possibilista, Fico contrarissimo. Fino al punto che i suoi sono disponibili a far cadere il governo. 2. Nelle opposizioni. Fratelli d' Italia per statuto è contraria a un processo ulteriore di decentramento che giudica essere strada verso la dissoluzione dello Stato unitario. Forza Italia è spaccata in due. Renato Brunetta e Mariastella Gelmini sono gonfalonieri dell' autonomia, e si schierano al fianco rispettivamente di Zaia e Fontana. Al Sud, Paolo Russo, campano e responsabile degli enti locali, tuona contro il «patto scellerato». Esso consisterebbe in questo: i grillini avrebbero venduto il Sud, con quattro soldi di reddito di cittadinanza, «in cambio della secessione del Nord, dei ricchi rispetto ai poveri». E chiama non solo i forzisti, ma «tutti parlamentari del Sud a condurre la madre di tutte le battaglie». Il Pd? Al Nord è stato incerto, in Lombardia si è diviso (Martina era per il no), a Bologna ha prevalso la concretezza. Al Sud, il residuato comunista ha fatto finta di chiederla nelle regioni dove governa, ma non se n' è fatto niente. Insomma: il solito Pd. 3. Le forze sociali. I sindacati sono contrari, perché non si sa. La Confindustria è spaccata. In Campania, il presidente regionale dell' associazione padronale Vito Grassi chiama a raccolta gli imprenditori contro «il secessionismo mascherato». Gli risponde dal Veneto il capo di Confindustria di Venezia-Rovigo, Vincenzo Marinese, siciliano di origine. Dice: «È vero il contrario: se bloccano l' intesa, l' Italia si spacca». MODELLO TRUMP? In sintesi. Conte insisterà nell' arte romana basata sul soprassedere, rinviare, spingere verso il muro invalicabile delle elezioni europee di maggio. Salvini, che ha dichiarato l' altro ieri di essere dalla parte del Veneto, cercherà un atterraggio morbido in primavera, non ha voglia di presentare il conto subito. Deve trovare una quadra interiore tra professato sovranismo e la ragione sociale della lega che è il federalismo. Dove sarebbe la contraddizione? Potrebbe appellarsi al modello Trump: sovranista, populista e presidente di uno Stato federale. Anche la Russia di Putin lo è. Il fatto è che non si tratta di una una questione teorica, ma di potere e quattrini, cioè di leghismo applicato all' economia reale. E sul punto la faccenda è grama, non bastano proclami e tweet. Ma assistiamo anche a un paradosso che potrebbe aiutare Salvini. La Lega salviniana in Meridione cresce di consensi ed è compattamente per le autonomie, le vuole anche per le regioni del Mezzogiorno. Una bella sfida. Però diciamolo. Le carte vincenti sono oggi in mano a Fontana e Zaia. Hanno dalla loro parte un plebiscito. Non solo. Fontana è più defilato, ma Zaia è oggi un leader riconosciuto a livello nazionale. È uscito dalla "Apocalisse delle Dolomiti" come un assoluto vincitore per carisma e praticità di comando. Dice: «Sono pronto alla firma, ma non firmerò un testo annacquato: non vorrei che qualcuno, e non mi riferisco a una persona in particolare, pensasse che al Veneto basta una conferenza stampa per firmare un progetto serio com' è quello dell' autonomia». Chiaro no? O autonomia o morte. di Renato Farina

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