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Berlusconi e il ricorso a Strasburgo, sentenza nel 2018. L'asso di Ghedini: il "vizio di forma"

di Giulio Bucchi domenica 26 novembre 2017

2' di lettura

Si chiama "vizio di forma" l'asso nella manica calato da Silvio Berlusconi a Strasburgo. Di fronte a oltre 550 persone accreditate, nell'aula del Tribunale dei Diritti dell'uomo è andato in scena lo show del processo più atteso dell'anno, quello che vede contrapposto l'ex premier e lo Stato italiano. Il motivo è noto: la legge Severino che nel 2013 ha portato (con applicazione retroattiva) alla decadenza del leader di Forza Italia dal Senato e alla sua incandidabilità. La sentenza dei giudici europei arriverà nel 2018, a ridosso o forse dopo le elezioni politiche. La campagna elettorale del Cavaliere sarà dunque messa in crisi dall'impossibilità di candidarsi ufficialmente a leader della coalizione di centrodestra ma l'esito del processo è apertissimo. Berlusconi da Merano, dove si sta godendo qualche giorno di relax, si è detto "sereno e soprattutto fiducioso. Mi aspetto che la Corte di Strasburgo accolga il mio ricorso". "Il mio ruolo nella prossima campagna elettorale - ha continuato sui social - è comunque chiaro: sarò in campo per portare il centrodestra al governo del Paese". In aula la battaglia l'hanno portata avanti i suoi legali. Secondo Edward Fitzgerald, avvocato inglese esperto in diritti umani, l'incandidabilità di Berlusconi "è stata una decisione presa dai suoi avversari politici", pari a "un anfiteatro romano con gladiatori". La legge, ha spiegato ai 17 giudici, "non era applicabile nel momento del reato" e in Senato "si è esercitato un potere draconiano". "Nessun tribunale ha esaminato la decisione presa dal Senato", ha spiegato ricordando che l'aula di Palazzo Madama, ad esempio, ha salvato Augusto Minzolini, giornalisti e senatore di Forza Italia, condannato per malversazione. Secondo Fitzgerald, nel caso dell'ex Cavaliera, la decisione del Senato "è incompatibile con lo stato di diritto". Sul voto palese di quel 27 novembre 2013 ha puntato la linea messa a punto da Niccolò Ghedini e Franco Coppi. Doveva essere voto segreto, sostengono, e invece "fu deciso con un colpo di mano, sovvertendo i regolamenti fino a quel momento utilizzati" di rendere pubblica la votazione dei singoli senatori. In quel caso, ricorda Repubblica, fu il presidente Piero Grasso ad accogliere la richiesta del Movimento 5 Selle riunendo la giunta del regolamento, dove la mozione passa per 7 voti a 6. Risultato, secondo Ghedini e gli altri avvocati: Berlusconi non è stato giudicato in modo del tutto libero e imparziale.

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