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D'Alema, lettera al Corriere: Prodi non lo feci cadere io

L'esponente del Pd torna sui fatti che nel '98 lo portarono a Palazzo Chigi: "Fu un errore, ma la colpa fu tutta di Scalfaro e Cossiga"
di Matteo Legnani domenica 16 febbraio 2014

2' di lettura

La (probabile) staffetta tra Renzi e Letta sta richiamando alla mente di molti quella tra Massimo D'Alema e Romano Prodi nel 1998. Quando Baffino soppiantò Mortadella alla guida di Palazzo Chigi, dopo che Rifondazione aveva sfiduciato quest'ultimo. Lo stesso Renzi, pressato per prendere le redini del governo, ha spiegato qualche giorno fa di non voler ripetere "l'errore di D'Alema". Perchè errore fu, tanto da spaccare lo stesso partito della sinistra e indignare i suoi elettori. Lo stesso D'Alema, a 16 anni da quei fatti, lo ammette in una lettera scritta oggi al Corriere della Sera. Ma respinge, il rottamato Massimo ("oggi mi occupo soprattutto di questioni europee e internazionali" spiega) di essere l'uomo che "ha fatto le scarpe" a Romano Prodi. A mettersi nei guai, dice D'Alema al Corriere, fu in primis lo stesso Prodi che di fronte al venire meno del sostegno di Rifondazione, decise che si doveva andare a elezioni. Ma poi la "colpa" della sua caduta fu dell'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e del fondatore dell'Udeur Francesco Cossiga, che tramò per prendere il posto di Bertinotti nella maggioranza. Il primo (Scalfaro) negò la possibilità di elezioni, motivandola con la delicatezza del momento in cui le forze militari italiane erano state messe sotto il comando Nato nella guerra dei Balcani. "Solo un Paese di matti può convocare le elezioni in una condizione prebellica" disse il capo dello Stato. Venne sondato Carlo Azeglio Ciampi, che accettò di proporsi per un mandato esplorativo. Ma all'ultimo, scrive sempre D'Alema, Prodi si rese disponibile per quell'incarico, che ebbe dalle mani di Scalfaro. A quel punto, però, Cossiga compì due mosse determinanti: disse no a Prodi e rilasciò una pesantissima intervista contro Ciampi, per bruciare qualsiasi sua possibilità di un ritorno in campo. Scalfaro era furioso, ritenendo che Prodi avesse avocato a sè l'incarico esplorativo solo per forzare la mano verso nuove elezioni. E quando Walter Veltroni e Fabio Mussi gli fecero il nome dello stesso D'Alema, procedette, di fatto archiviando il primo governo Prodi. 

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