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Il paradosso del bonus bebè:i soldi vanno agli immigrati

L'idea è buona, i soldi sono pochi. La copertura è di appena 20 milioni, beneficiate solo 3.300 neo mamme. E così scatterà la lotta tra poveri che favorisce gli stranieri
di Andrea Tempestini venerdì 30 novembre 2012

2' di lettura

  di Antonio Castro L’idea è buona. Ma la “coperta è corta”. Molto corta: appena 20 milioni di euro. Che diviso in aiuti alle neomamme si traduce in un bonus baby sitter di 300 euro al mese, per un massimo di sei mesi, da utilizzare a partire dal 2013, per aiutare le mamme che lavora a sostenere le spese per baby sitter e asili nido nel primo anno di vita del bambino. Tirando le somme, in tre anni  ne potranno beneficiare appena 3.300 neo mamme l’anno. Ma le lavoratrici dovranno dimostrare un reddito congruo con i parametri Isee (ancora da definire, comunque molto basso).  Per le 3.300 fortunate che nei prossimi 3 anni potranno agguantare i 1.800 euro di voucher neonati (secondo stime del Moige «saranno saranno poco più di 10mila mamme in tre anni), la trafila sarà più o meno questa: accertati i parametri, bisognerà presentare una domanda telematica. E così si comporrà una graduatoria nazionale. Ma è già una lotteria tra poveri. visto che il parametro - per ottenere il bonus - è che otterrà il bonus chi ha il valore Isee più basso. E a parità di Indicatore della situazione economica equivalente, spunterà i 300 euro chi nel giorno prefissato presenterà per prima la domanda, almeno questo prevede il decreto fortemente voluto proprio da Fornero.    Certo, con oltre mezzo milione di nuovi nati ogni anno (nel 2011 in Italia sono stati iscritti all’anagrafe 546.607 bambini, circa 15mila in meno rispetto al 2010), si capisce che il nuovo bonus bebè rappresenti poco più che un gettone simbolico a sostegno delle lavoratrici madri. E in fondo alla classifica dei redditi femminili troviamo, solitamente, proprio le donne immigrate.  Già in Italia solo il 46% della popolazione femminile può contare su un posto di lavoro. Mentre in Europa il gentilsesso che lavora sfiora il 60%. Ma il dato preoccupante è che ben il 26,5% delle donne italiane che lavorano abbandonano l’impiego nel primo anno di vita del figlio per l’impossibilità di accudirlo, la saturazione dei posti negli asili nido pubblici, il costo esorbitante di strutture private che chiedono rette fino a 600/700 euro al mese.  Ci sono voluti mesi per partorire il decreto, ora bisognerà vedere i parametri per le eventuali aventi diritto e poi la fantomatica graduatoria nazionale e l’esito della riffa. Ultima condizione capestro: le lavoratrici per avere il bonus dovranno rinunciare ai permessi facoltativi (180 giorni retribuiti al 30% nei primi 3 anni di vita). Non era più semplice aumentare lo stipendio (40, 50%) nei giorni di permesso facoltativi alle neo mamme con salari bassi?  

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