Parla il ministro

Schillaci, la missione del governo: "Così svuoterò i pronto soccorso"

Pietro Senaldi

«Ci sono due premesse dalle quali non si può non partire. La prima è che l’Italia è la seconda nazione al mondo come aspettativa di vita ma non è la seconda nazione più ricca al mondo, quindi significa che la nostra sanità, in rapporto agli altri Stati, ha una buona efficacia. La seconda è che è una menzogna quanto continua a sostenere l’opposizione, secondo la quale questo governo avrebbe tagliato i fondi al settore. La scorsa settimana abbiamo stanziato un altro miliardo e 400 milioni, in aggiunta ai 2 miliardi e 150 milioni di maggiori fondi previsti dall’ultima legge di bilancio e nella prossima Finanziaria metteremo altri soldi. Nella prossima Finanziaria la dotazione del SSN aumenterà di altri 5 miliardi di euro arrivando a 131. Come sa, la sanità l’ha tagliata chi è arrivato prima di noi e lo ha fatto per più di dieci anni di fila, avendo buon gioco perché erano i tempi in cui si lodava l’austerity e troppe Regioni spendevano senza criterio, infatti sono finite commissariate».

Il settore però è in sofferenza...
«Abbiamo portato a cento euro il compenso orario dei medici d’emergenza per gli straordinari e a 50 quello degli infermieri, che da ora potranno fare, come pure le ostetriche, anche la libera professione, cosa che gli era preclusa. Significa che, dal primo giugno, considerando anche l’anticipo dell’indennità inizialmente prevista per il gennaio 2024, i medici potranno guadagnare anche 2.000 euro in più al mese e gli infermieri oltre mille. Stiamo cercando di contrastare l’abuso del ricorso ai medici a gettone, che tolgono risorse economiche preziose agli ospedali, per garantire una migliore efficienza».

Quando si vedranno gli effetti nelle sale d’attesa dei pronto soccorsi?
«Quasi da subito. Il problema però è anche che in Italia c’è una sorta di paradosso. Siccome l’assistenza in emergenza e gli ospedali funzionano bene, tutti vi ricorrono anche quando non ne avrebbero bisogno. C’è una corsa al ricovero anche quando non sarebbe necessario e il 70% delle persone che vanno al pronto soccorso potrebbe non farlo».

Svuotare i pronto soccorsi degli ospedali: bella idea, ma come?
«Va rafforzata l’assistenza sul territorio utilizzando i soldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per avviare le case comunità e bisogna aumentare l’apporto dei medici di base nella cura, con un’operatività maggiore che passi anche attraverso la telemedicina, le visite a distanza».

Curare un paziente che vive più degli altri, è abituato a non pagare e mediamente a trovarsi di fronte a professionisti di alto livello non è opera semplice. Farlo senza avere in mano i cordoni della borsa la complica alquanto. Però è questo il mestiere del ministro della Sanità in Italia. Orazio Schillaci non se lo è scelto e questo gli consente di affrontarlo in maniera laica. «Provengo dal mondo universitario», spiega, «ma questo non vuol dire essere lontani dalla politica, quando è sostenuta dal consenso popolare e dal voto degli elettori». Fuori dalla porta il numero uno di Lungotevere Ripa vorrebbe lasciare soprattutto quell’affollato stuolo di esperti e consulenti che più di una volta hanno depistato il suo predecessore, Roberto Speranza. «Io sono medico e il medico lo so fare», sorride pungente Schillaci. «I consigli sono benvenuti ma se contribuiscono a riportare la salute pubblica al centro e non a difendere modelli inadeguati e inutilmente costosi. E un po’ mi riferisco anche alle Regioni, che sono il vero motore della Sanità, a cui dedicano il 70-80% del loro bilancio». Le sue parole d’ordine sono prevenzione, dallo stile di vita alla presa in carico del paziente da parte di Stato e medico di base, entrambi impegnati nello scadenzare i controlli, linee guida centrali d’indirizzo rigorose e libertà regionale nell’attuarle e nella spesa, sburocratizzazione, depoliticizzazione e decongestionamento degli ospedali. Hai detto niente. Se ce la fa, è fatta per tutti. «Quando Giorgia Meloni mi ha affidato l’incarico» racconta Schillaci, «ho accettato di buon grado perché credo nella sanità pubblica. Credo però che non serva rattopparla, come si è fatto in passato, per farla tornare a fianco di tutti i cittadini. Guardi il modello inglese che è ingolfato quanto il nostro. Serve ripensare l’assistenza sanitaria, serve riorganizzare le strutture e serve ridare attrattività alla professione dei medici e degli infermieri».

Ministro, ripartiamo dalla proposta svuota pronto soccorso: cosa sono le case comunità?
«Una sorta di multimedica, ma pubblica, dove il cittadino può trovare tutte quelle cure che non richiedono un’ospedalizzazione.
Ne abbiamo previste 1.350, in tutta Italia, una ogni cinquantamila abitanti».

Perché chi sta male dovrebbe andare lì anziché al pronto soccorso?
«Perché gli conviene, per evitare ore di attesa, essere certo di trovare lo specialista di cui ha bisogno e non rischiare di esserci mandato dal pronto soccorso, in caso di mancato ricovero come avviene nella stragrande maggioranza dei pazienti. Saranno luoghi sinergici, esattamente come un grande ospedale, e senz’altro garantiranno un servizio migliore rispetto a un pronto soccorso congestionato».

Come pensa di rendere più sinergici i medici di base?
«Il medico di base ha un ruolo vitale nella prevenzione: deve prendersi in carico il paziente e seguirlo con scadenze periodiche, indicandogli gli esami di controllo da fare, in base alla sua età, alla condizione fisica e alla situazione clinica. Bisogna arrivare a spedire mail a casa per dire quali esami fare in base all’avanzare dell’età e daremo delle agevolazioni a chi segue i consigli».

Per i cittadini il vero problema della sanità sono le liste d’attesa troppo lunghe, anche per visite salva-vita...
«E proprio qui serve un lavoro di sinergia tra ministero ed enti territoriali. Il cittadino che vuole prenotare una prestazione deve sapere dove può fare l’esame, in ospedali pubblici e strutture convenzionate, con la tempistica prevista. Abbiamo stanziato 360 milioni nel decreto Milleproroghe per accorciare le attese».

In casi non così rari si arriva a dover attendere quasi due anni per una visita...
«Bisogna tenere le liste sempre aperte, oggi lo sono solo per due mesi, ma questo non consente la trasparenza».

Però se paghi ti visitano in settimana...
«La libera professione è molto criticata, però bisogna dire che la spesa annua pro capite per visite specialistiche private è di 18 euro e i medici che lavorano privatamente sono solo il 42%, diecimila in meno rispetto a due anni fa. Non si pensi che sia il privato in libera professione ad allungare le liste del pubblico».

E cosa è allora?
«Vengono prescritti troppi esami inutili, c’è un eccesso di medicina difensiva. Il medico, per evitare cause e guai con la giustizia, eccede a volte negli esami da far fare».

Mi sembra comprensibile...
«Per questo agiremo depenalizzando la responsabilità medica, tranne che per il dolo, e mantenendo solo quella civile. E poi stenderemo delle linee guida con criteri chiari su quali esami prescrivere e quando».

Non è che il problema è che non possiamo permetterci una sanità totalmente gratuita?
«L’articolo 32 della Costituzione sancisce la tutela della salute come diritto fondamentale e gratuito e di qui non si scappa. Certo, è costosissimo e negli altri Paesi l’assistenza non è così puntuale e a basso costo come da noi, dove si paga solo il ticket. L’unica soluzione per mantenere la sanità non a pagamento è agire sulla prevenzione, fare in modo che la gente si ammali poco».

Con pozioni magiche?
«Con l’educazione alla salute, fin nelle scuole. Insegniamo ai ragazzi i corretti stili di vita, per farne degli anziani sani. Ci vorrebbe almeno un’ora la settimana nell’orario scolastico, molto più importante di altri insegnamenti oggi di moda».

Ha fatto molto discutere la sua lotta alle sigarette elettroniche: a che punto siamo?
«Ci siamo fermati un attimo per valutare i loro reali effetti negativi. Il fumo fa male. Le sigarette tradizionali fanno malissimo, ma non voglio passare per talebano, sarebbe anche controproducente. Entro quest’anno arriverà dall’Europa una direttiva che imporrà limiti severi al fumo elettronico. Noi ci stiamo preparando facendo degli studi approfonditi sugli effetti del fumo elettronico sulla salute, anche perché ci sono vari tipi di sigarette elettroniche. C’è una vasta letteratura in materia, un po’ come per i carburanti. Mi lasci studiare ancora un po’».