Il patriarcato esiste ed esisterà finché le donne guadagneranno, a parità di mansione, meno degli uomini, finché saranno costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, finché dovranno sgobbare il doppio rispetto ai maschi perché è quasi sempre su di loro che pesa la gestione della famiglia, dei figli e della casa. Il patriarcato esisterà finché una donna dovrà sentirsi giudicata per come è vestita o non è vestita, per il colore del rossetto e la lunghezza della gonna, esisterà finché un uomo le dirà “Stai zitta” o “Se mi lasci, ti ammazzo”, finché alle bambine verrà insegnato a essere gentili e ai maschi a essere forti, finché un padre sarà orgoglioso del figlio che seduce le donne mentre controllerà il cellulare e le uscite della figlia.
ZITTE IN CUCINA
Moltissime conquiste sono state fatte rispetto alla vita della povera Delia del film di Paola Cortellesi, quando le donne non potevano esprimersi neanche nel chiuso di una cabina elettorale e se ne dovevano stare zitte in cucina come fantasmi in carne e ossa. In sessant’anni le donne hanno colmato molta della distanza, il famoso gender gap, in cui le nostre nonne hanno vissuto, grazie a figure coraggiose e visionarie che hanno lottato anche per noi. Sono tantissime, da Franca Viola, la prima a ribellarsi in Sicilia al matrimonio riparatore dopo essere stata stuprata dal fidanzato che lei voleva lasciare («Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce»), all’avvocato Tina Lagostena Bassi che si batté per introdurre la parola stupro al posto della violenza sessuale che fino al 1996 era ancora un reato solo contro la morale e non contro la persona. E molto prima, alla fine dell’Ottocento, c’erano state molte donne, tra queste Bice Cammeo e Beatrice Pisa, che firmarono il primo manifesto dell’Unione femminile che lottava per dare alle lavoratrici gli stessi diritti dei colleghi.
Ecco, e veniamo al punto, il patriarcato non è né rosso né nero, non ha colore politico è un virus che continua a circolare in modo più o meno strisciante e che la società deve debellare. Se una donna va dai carabinieri a denunciare il comportamento violento del marito, compagno o fidanzato, quella denuncia non deve seguire lo stesso iter delle altre, ma correre lungo strade privilegiate. Se un vicino di casa sente che la donna accanto viene regolarmente picchiata o umiliata, deve denunciare, segnalare ai servizi sociali, uscire dalla comoda stanza dell’ignavia. Ognuno deve fare la propria parte. Uomini e donne, senza distinzione di sesso. Il cambiamento parte dal basso, sempre. Come le rivoluzioni. La politica deve intervenire attraverso campagne di informazione e prevenzione e approvando le leggi che la magistratura deve applicare. La telefonata di Elly Schlein a Giorgia Meloni per il ddl contro i femminicidi è un passo che fa sperare (certo, vedere l’aula vuota non è stato un bel segnale...). Il resto tocca a ciascuno di noi. E le donne dovrebbero ricordarsi di quella ragazzina di Alcamo che alzò la testa e disse: «Io non sono proprietà di nessuno». Ps. Fu un uomo, nella Sicilia di sessant’anni fa, a sostenerla e incoraggiarla. Suo padre Bernardo si schierò dalla parte di Franca, quella figlia che per tutti era solo una «svergognata».