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Beppe Grillo commissaria Giuseppe Conte: Stelle cadenti

di Francesco Specchia giovedì 20 giugno 2024

3' di lettura

L’auto-intervista è l’espediente letterario per i timidi e i disillusi inferociti. Rientra nella categoria Beppe Grillo, in risposta all’inedito cazziatone fattogli da Giuseppe Conte. «Il destino del Movimento non è nelle sue mani» ha affermato l’affondato elettorale al fondatore (ché tra l’altro, è un’affermazione giuridicamente sbagliata, perché l’Elevato non solo possiede la gestione di simbolo e nome, ma il Movimento stesso). Da qui tutto un gioco di stoccate a distanza tra i due.

Grillo risponde a Conte che a sua volta aveva risposto Grillo che a sua volta aveva battuteggiato sul fatto che il Berlusca da morto prendesse più voti del Giuseppi da vivo. Sicché, ora sono bastate 48 ore di respiro del comico, per rimettere i paletti al partito.

Grillo per esempio, è d’accordo su «tutte le cose che dice Conte, che poi sono tre. D’altra parte come si fa a non essere d’accordo sul fatto che la guerra, la povertà e le malattie siano cose brutte?». «Semmai- spiega- vorrei aggiungerci qualche cosa bella, come il voto dei cittadini europei alle elezioni politiche nei paesi di residenza e non di cittadinanza, prodotti il cui prezzo incorpori costo sociale di produzione e trasporto, piattaforme di democrazia diretta e di cittadinanza attiva. Tutte cose di cui parlavamo regolarmente con Casaleggio e altri». Che significa: bisogna tornare al vento del logos, allo spirito anarcoide visionario di Gianroberto Casaleggio, «riprendere gli stessi incontri che facevamo con lui». E «come va a il tuo rapporto con Conte?» chiede Grillo a sé stesso avvitato nell’autoanalisi. «Come si fa ad avere un cattivo rapporto? Ci ho provato ma non ci sono riuscito: non si scompone mai, ogni parola si scioglie... Siamo d’accordo, però, che non vogliamo scioglierci anche noi», si autorisponde Grillo.

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Poi, sempre danzando sul surreale, Grillo traccia la traiettoria del M5S: «Hai notato che il simbolo dell’Altrove ha la forma di un’antenna? Ripartiremo da antenne puntate sui cittadini e da un’azione politica diversa. Siamo nati come irregolari che sognavano di cambiare il sistema». Che letto in grillese significa più o meno: di Conte io non mi fido affatto, ma ora in giro non c’è di meglio. E una buona alternativa, al massimo, sarebbe Virgina Raggi. La quale, proprio l’altro giorno, a braccetto con l’eretico Di Battista, ribadiva che il M5S «non è né di destra né di sinistra». L’esatto contratto di Conte secondo il quale lascia capire che se uno è di destra, io lo caccio.

Poi c’è la faccenda, determinante per i 5 Stelle sul vincolo «dei due mandati». Ineludibili, per Grillo. «Ed è comprensibile che chi oggi si trova al secondo mandato vorrebbe eliminarla. D’altronde l’istinto di sopravvivenza proviene dalla nostra natura animale, ed è insopprimibile. Il limite alla durata dei mandati è non solo un principio fondativo del movimento, ma è anche un presidio di democrazia fin dai tempi dell’antica Atene. Come ho detto più volte, dovrebbe diventare una legge costituzionale, quantomeno per le cariche più importanti, come peraltro fece il congresso degli Stati Uniti dopo la morte di Roosevelt (che fece quattro mandati e videro che non era più il caso, ndr)». Cioè: io, fondatore, ribadisco il concetto se vuoi legarti alla poltrona, te ne torni a casa. E comunque, in fin dei conti, Conte non ha demeritato.

Abbiamo visto di peggio, dice. «Mi pare che i temi fondativi del movimento siano ancora validi. Alcuni, come la transizione ecologica e digitale, sono diventati i temi principali dell’agenda politica. Dunque non si può dire che non ci avessimo azzeccato. Altri, come la democrazia diretta e la politica come servizio e non professione - come peraltro è in Svizzera, e non solo restano da realizzare». Bastone, carote e ancora bastone. In casa 5 Stelle è in atto un piscodramma che si diluisce nella sopravvivenza, tra due fazioni: la contiana, fatta di una tattica di alti e bassi (troppi, ma per Conte in fondo la colpa è dell’alleanza con Draghi) e l’antica sì di Grillo ma pure della vecchia guardia da Toninelli a Raggi, a Casaleggio jr. Il quale inaugurò la sarabanda d’accuse contro il Conte.

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