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Il nostro problema ha un nome. Oriana Fallaci ce lo aveva detto

di Mario Sechi sabato 4 gennaio 2025

2' di lettura

Un primissimo piano di Oriana Fallaci Quando Oriana Fallaci nel settembre del 2001, pochi giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle, scrisse sul Corriere della Sera un testamento profetico, liberando un fiume in piena che dipingeva un declino, il nostro, e l’ascesa dell’Islam in Occidente; quando raccontò della sua Firenze sfregiata dall’indifferenza, quando descrisse l’avanzata islamica sul «sagrato della Chiesa di San Lorenzo dove si ubriacano col vino e la birra e i liquori, razza di ipocriti, e dove dicono oscenità alle donne»; quando la Fallaci levò il suo grido più in alto, si scagliò sudi lei l’accusa di razzismo, il martello che serviva, ieri e oggi, a demolire la verità.

Ventitrè anni dopo, siamo qui a fare i conti con la realtà dell’Islam: quello che la notte di Capodanno conquista il sagrato del Duomo di Milano sventolando bandiere con la mezzaluna e la stella, invocando Allah e offendendo l’Italia; quello che sequestra Cecilia Sala in Iran e la rinchiude in una prigione, trasformandola nella pedina di un intrigo internazionale, la sua riduzione a merce di scambio; lei per lui, questo è il suk iraniano, lei una giornalista, lui un complice del regime del terrore. Nel passaggio da un anno all’altro, nell’eterna lotta tra la notte e il giorno, abbiamo (ri)scoperto quello che Oriana Fallaci aveva scolpito sulla pietra. Di fronte alla minaccia islamista, ci ritroviamo con una sola scelta: difendere la «rule of law» e la vita, il primato del diritto e il valore inestimabile dell’esistenza di una giovane donna, il luogo sacro e il corpo inviolabile.

Viviamo nell’annunciato, scritto e pre-visto. Fallaci non fu l’unica a captare cosa stava accadendo, ma fu la prima a esporlo al pubblico senza paura, con le parole che chiamano le cose con il loro nome. Fu il messaggero alato dell’orrore e dell’errore, della rabbia e dell’orgoglio, della paura e della speranza. Ispirò molti e da troppi fu dimenticata. Quando il romanziere Michel Houellebecq, dieci anni fa, il 7 gennaio del 2015, pubblicò il romanzo “Sottomissione”, dove immaginava l’ascesa al potere in Francia di un partito islamista, lo stesso giorno dell’uscita del libro, a Parigi un commando di terroristi di Al Qaeda fece la strage nella redazione di Charlie Hebdo.

Sulla copertina del settimanale satirico, quel giorno, c’era lui, Houellebecq, dipinto come un mago, l’uomo capace di prevedere il futuro.
La storia non ha mai coincidenze, sa giocare a dadi con il destino, propone enigmi da risolvere, lancia bagliori sul presente da un orizzonte lontano chiamato futuro. In piazza del Duomo a Milano e in una prigione in Iran c’è una mano invisibile che sta scrivendo un altro capitolo del nostro romanzo, non sappiamo la fine, ma ne avvertiamo il presagio. Vi siamo dentro, sonnambuli. Fino al prossimo risveglio. Sempre troppo tardi.

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