Chi decide chi deve impartire l’educazione sessuale ai ragazzi italiani? Lo Stato o i genitori? Può l’istituto scolastico imporsi, con i propri insegnanti e le loro idee, se le famiglie sono contrarie? E dunque, chi viene prima: lo Stato o la famiglia? Due visioni della società e della politica opposte: da una parte quella statalista, dall’altra quella liberale, perla quale lo Stato deve occuparsi solo di ciò che la famiglia, l’istituzione fondamentale della società, non può fare.
È l’ultimo scontro tra governo e opposizione, sulla materia più delicata e importante: il modo in cui le prossime generazioni guarderanno il mondo. A innescarlo, il disegno di legge «in materia di consenso informato in ambito scolastico» approvato ieri dal consiglio dei ministri. Che rende obbligatorio il parere favorevole «dei genitori ovvero degli studenti, se maggiorenni» a ogni tipo di attività che riguardi «tematiche dell’ambito della sessualità». Niente consenso, niente partecipazione del ragazzo alle lezioni.
Consenso «informato» significa che dovrà essere «acquisito previa messa a disposizione, per opportuna visione, del materiale didattico che si intende utilizzare», dunque i testi e gli eventuali filmati. Il modulo con cui il consenso sarà richiesto dovrà illustrare anche «le finalità, gli obiettivi educativi e formativi, i contenuti, gli argomenti, i temi e le modalità di svolgimento» delle lezioni, oltre che «l’eventuale presenza di esperti esterni, enti o associazioni». Questi potranno essere coinvolti solo con l’approvazione del collegio dei docenti, che li sceglierà sulla base «dei titoli e della comprovata esperienza professionale, scientifica o accademica nelle materie oggetto dell’intervento». Niente esperti fai-da-te, insomma.
Se l’attività in questione è extracurricolare, in caso di rifiuto del consenso lo studente si asterrà dalla frequenza; se invece l’attività rientra nell’ampliamento obbligatorio dell’offerta formativa, l’istituto dovrà garantire alternative allo studente. Tutto questo non riguarderà le scuole dell’infanzia e primarie, per le quali è esclusa ogni attività su temi riguardanti la sessualità.
Un modo per impedire che sui banchi di scuola la teoria della fluidità di genere rimpiazzi la biologia all’insaputa dei genitori? Anche, certo. Il contrasto ideologico con l’opposizione è quindi duplice: riguarda sia il rapporto gerarchico tra la famiglia e lo Stato nell’educazione dei ragazzi, sia cosa dovrà essere insegnato nelle scuole in materia di sessualità.
Putiferio scontato, insomma. Per il Pd, il governo fa «becera propaganda». Secondo Alessandro Zan, “responsabile diritti” del partito di Elly Schlein, «la scuola ha il dovere di educare indipendentemente dalla famiglia di origine di alunne e alunni, non di chiedere il permesso». Pure per i Cinque Stelle l’educazione sessuale non può essere «lasciata alla discrezionalità delle scuole o, peggio, all’arbitrio del consenso familiare», mentre Elisabetta Piccolotti, di Avs, parla di «favore ai fondamentalisti».
Non è l’unico nuovo provvedimento sulla scuola a far discutere. Il consiglio dei ministri ha approvato anche un disegno di legge con misure a tutela del personale scolastico: la risposta ai tanti atti di violenza compiuti dai genitori dei ragazzi ai danni di dirigenti e insegnanti. Le norme prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza del colpevole, il quale dovrà scontare una pena aggravata se le lesioni sono procurate ai dirigenti o agli insegnanti «nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio». Oggi la reclusione, in caso di lesioni lievi, va da sei mesi a tre anni; con le nuove norme il periodo di pena varia da due a cinque anni, che possono salire a sedici in caso di «lesioni personali gravi o gravissime».
Pure queste norme sono state contestate da sinistra. In particolare dalla Rete degli Studenti medi, che accusa il governo di «creare narrazioni volte a criminalizzare un’intera generazione» e chiede che l’educazione sessuale «sia obbligatoria fin dall’asilo», poiché «la violenza di genere e il patriarcato si combattono culturalmente a partire dalle scuole». Del resto, la Rete è legata alla Cgil: assieme all’Unione degli universitari, nel 2023 ha ricevuto dal sindacato di Maurizio Landini un contributo di 130mila euro, in linea con gli anni precedenti.
Un decreto, anch’esso approvato ieri, disciplina poi le ipotesi in cui lo studente prende 5 in condotta e dunque viene bocciato: rientrano nella categoria anche i casi di bullismo grave. Con il 6 in condotta, invece, lo studente sarà rimandato a settembre, quando dovrà sostenere un esame sui valori ai quali ha mancato di rispetto col suo comportamento. Un quarto provvedimento, infine, cambia le regole della sospensione: lo studente dovrà continuare a frequentare le lezioni e approfondire in elaborati scritti le ragioni e le conseguenze della propria cattiva condotta. Perle sospensioni superiori ai due giorni sarà obbligatorio svolgere servizio nelle mense dei poveri, nelle case di riposo o nella cura dei locali scolastici.