Incolta sul fatto, Barbara Floridia aveva due possibilità per uscire dal guaio istituzionale in cui si è cacciata: stare in silenzio e lasciar passare ’a nuttata; scusarsi e voltare pagina. Invece no, ha scelto una terza via, sostenere l’insostenibile. Così ha mentito due volte: la prima, quando ha pubblicato un suo video-commento tagliando la prima parte del mio intervento a Realpolikit (Rete4) stravolgendone il senso; la seconda, quando ieri si è arrampicata sugli specchi: «Non ho mai detto - né pensato - che Sechi volesse affondare la Flotilla con l’equipaggio a bordo». Riepilogo: Floridia non dice e non pensa, ma fa il contrario di quel che dice di non dire e di non pensare.
È il manuale dell’azzeccagarbugli pentastellato, una meraviglia. Solo in un istante la senatrice è apparsa senza maschera - come si legge nella chat che pubblico in prima pagina, per onorare la cronaca - quando alle 8:33 di venerdì scorso le ho scritto su whatsapp: «Hai manipolato quello che ho detto tagliando la parte precedente». Floridia ha risposto così: «Meloni docet». Non solo non ha spiegato, ma ha tirato in ballo la premier Giorgia Meloni (con un altro falso) per giustificare la sua condotta grave. Floridia sembra non aver realizzato il problema istituzionale che ha creato: la sua permanenza al vertice della Commissione di vigilanza sulla tv.
La presidente di un’istituzione che ha delicati compiti di indirizzo e controllo sull’informazione televisiva, la comunicazione politica e il pluralismo, che attacca il direttore di un giornale (che parla in tv, in pieno contraddittorio con altri opinionisti), ne manipola l’intervento tagliandolo e poi lo commenta stravolgendone il contesto e il significato per “mostrificarlo”, può restare al suo posto? Il comportamento di Floridia rispetta il ruolo di equilibrio e garanzia che deve esercitare? Lascio la risposta ai deputati e senatori che siedono in Commissione di Vigilanza (che svolge un lavoro prezioso, che deve essere bilanciato e imparziale, rispettoso dell’autonomia dei giornalisti, tutti), ai partiti che in Parlamento non hanno ancora perso il senso delle istituzioni, alle alte cariche che hanno ben presente il valore costituzionale del pluralismo delle idee e del giornalismo. La condotta di Floridia è grave non solo perché contraddice le regole a cui deve ispirarsi la Commissione, ma perché la presidente nel suo commento video mette sullo stesso piano un giornalista con la premier e uno dei vicepremier (Giorgia Meloni e Antonio Tajani), lo pone allo stesso livello del “nemico politico”. Non sono così importante, ma quel che sfugge a Floridiae ai suoi tragici compagni di Flotillaè che così facendo sta “illuminando il bersaglio”. Floridia non capisce, ma l’ignoranza non la assolve, perché lo scenario è squadernato in cronaca, è visibile nei cortei, nelle manifestazioni di piazza, nella devastazione che lasciano i “pacifisti”. Qui entra in scena la signora Francesca Albanese, che difendendo la Floridia si rammarica del fatto che io venga invitato a parlare in tv di Gaza. Vorrei rassicurarla, continuerò a raccontare la sua vergognosa campagna antisemita, il cui apice è stato toccato pochi giorni fa a Reggio Emilia, quando ha redarguito il sindaco che chiedeva la liberazione degli ebrei ancora in mano ad Hamas.
La Albanese è una figura tragica, sinistra, lugubre. Per lei ci sarà il tribunale della storia e la sentenza arriverà presto. A Roma ieri è sfilato un corteo dell’orrore che inneggiava al 7 ottobre, la data sinistra della strage degli ebrei, come «giorno della resistenza», sono sfilate le bandiere di Hamas e Hezbollah, un cartello che recitava «quest’anno risparmia sugli addobbi di Natale: appendi un sionista! La corda è in omaggio». Quella corda è per tutti i sionisti, gli ebrei, gli uomini e le donne che credono nell’ordine liberale. Quella corda è anche per me e tutti quelli come me. Perché io sono un sionista, difendo il diritto di Israele di esistere, combatto la mia battaglia delle idee contro il terrorismo jihadista, non risparmio una sola goccia d’inchiostro per condannare l’antisemitismo, sono un realista che non vende utopie pericolose e rabbrividisco quando sento la parola «genocidio» usata contro Israele e gli ebrei, sono per la pace che si conquista combattendo i nemici della democrazia e gli oppressori della libertà e sì, sono favorevole al piano Trump per Gaza, perché desidero la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas e la fine della guerra. Attenzione, perché c’è chi prepara la corda, ma c’è anche chi la insapona.